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Walter Benjamin ✆ Matthew Dear |
Mario Pezzella | 1.
In un frammento del 1921, Il capitalismo come religione
[1], Walter Benjamin ha messo in rilievo in che misura il debito sia
diventato l’oggetto di culto di una vera e propria teologia del danaro, che ha
sostituito in larga misura la “teologia politica”. Benjamin radicalizza le idee
di Weber sul rapporto tra modo di produzione capitalista e cristianesimo. Se
per Weber il capitale nella sua forma moderna è stimolato dalla concezione
calvinista della grazia e del peccato e poi procede alla sua secolarizzazione
profana, per Benjamin è esso stesso religione: priva di dogmi, ma con un suo
culto ineluttabile e continuo e un “dio minore” che ne perpetua il destino.
“Il
capitalismo -scrive Benjamin-
è la celebrazione di un culto sans trêve et
sans merci. Non esistono “giorni feriali” non c’è alcun giorno che non sia
festivo, nel senso terribile del dispiegamento di tutta la pompa sacrale,
dell’estrema tensione che abita l’adoratore”[2]. Oggetto di questo rito è la merce, emanazione visibile della
astrazione sovrasensibile e spirituale del danaro.
“Questo culto è colpevolizzante-indebitante”. Se il debito è
il rapporto sociale che domina e sostituisce ogni altra forma di riconoscimento
intersoggettivo tra gli uomini, esso stabilisce immediatamente anche un nesso
di colpevolezza. Questa