“Tres pasiones, simples, pero abrumadoramente intensas, han gobernado mi vida: el ansia de amor, la búsqueda del conocimiento y una insoportable piedad por los sufrimientos de la humanidad. Estas tres pasiones, como grandes vendavales, me han llevado de acá para allá, por una ruta cambiante, sobre un profundo océano de angustia, hasta el borde mismo de la desesperación” — Bertrand Russell

7/5/15

Foucault oltre Foucault | Le tecnologie governative hanno il ruolo centrale nelle relazioni di potere

Maurizio Lazzarato   |   Michel Foucault, attraverso il concetto di biopolitica, ci aveva annunciato dagli anni ’70 ciò che, oggi, sta per diventare un’evidenza: la « vita » e il « vivente » sono le poste in gioco delle nuove lotte politiche e delle nuove strategie economiche. Ci aveva anche mostrato che « l’entrata della vita nella storia » corrisponde all’espansione del capitalismo. Infatti, dal 18mo secolo i dispositivi di potere e di sapere prendono in conto i « processi della vita » e la possibilità di controllarli e di modificarli. « L’uomo occidentale impara man mano cosa vuol dire essere una specie vivente in un mondo vivente, avere un corpo, una salute individuale e collettiva, delle forze che si possono modificare… »1. Che la vita e il vivente, che la specie e le sue condizioni di produzione siano diventate la posta in gioco delle lotte politiche, costituisce una novità radicale nella storia dell’umanità. « L’uomo per millenni è rimasto ciò che era per Aristotele: un animale vivente e, in più, capace di un’esistenza politica; l’uomo moderno è un animale nella cui politica è in questione la sua stessa vita di essere vivente »2. La brevettazione del genoma e lo sviluppo dei macchinari intelligenti, le biotecnologie e la messa in produzione delle forze della vita, designano una nuova cartografia dei biopoteri.
Ma i lavori di Foucault erano solo indirettamente indirizzati alla descrizione di questi nuovi biopoteri. Se il potere prende la vita come oggetto del suo esercizio, Foucault è interessato a determinare ciò che nella vita gli resiste e, resistendogli, crea delle forme di soggettivazione e delle forme di vita che sfuggono ai biopoteri. Definire le condizioni di un nuovo « processo di creazione politica, confiscato dal 19mo secolo dalle grandi istituzioni politiche e i grandi partiti politici », sembra essere il filo conduttore che attraversa tutta la riflessione di Foucault. Infatti, l’introduzione « della vita nella storia » è positivamente interpretata da Foucault come una possibilità di ;concepire una nuova ontologia che parte dal corpo e dalle sue potenze per pensare il « soggetto politico come soggetto etico!, contro la tradizione del pensiero occidentale che lo pensa esclusivamente sotto la forma di « soggetto del diritto ».

Foucault interroga il potere, i suoi dispositivi e le sue pratiche non più a partire da una teoria dell’obbedienza e delle sue forme di legittimazione ma a partire da una teoria della « libertà » e della « capacità di trasformazione » che ogni « gioco di potere » implica. La nuova ontologia che l’introduzione della « vita nella storia » afferma, permette a Foucault di « far valere la libertà del soggetto » nella costituzione del rapporto con sé e nella costituzione del rapporto con gli altri, ciò che è, per esso, la « materia stessa dell’etica ».

Habermas e i filosofi dello Stato di diritto non si sono sbagliati quando hanno preso il pensiero di Foucault come bersaglio privilegiato, perché rappresenta un’alternativa radicale ad un’etica trascendentale della comunicazione e dei diritti umani.

2. Recentemente, Giorgio Agamben, in un libro che si inserisce esplicitamente nelle ricerche iniziate attorno al concetto di biopolitica, afferma che la distinzione che la teoria e la politica degli anziani stabilivano fra zoe e bios, fra vita naturale e vita politica, fra l’uomo come semplice vivente che aveva il suo spazio di espressione nella casa e l’uomo come soggetto politico che aveva il suo spazio di espressione nella polis, di questa distinzione quindi, « non ne sappiamo più nulla ». Come per Foucault, l’introduzione della zoe nella sfera della polis costituisce l’evento decisivo
della modernità che marca una trasformazione radicale delle categorie politiche e filosofiche del pensiero classico. Ma questa impossibilità di distinguere fra zoe e bios, fra l’uomo come semplice vivente e l’uomo come soggetto politico è il prodotto dell’azione del potere sovrano o è il risultato dell’azione delle nuove forze su cui il potere sovrano non ha « nessuna presa »? La risposta di Agamben è molto ambigua e oscilla continuamente fra queste due alternative. Tutt’altra è la risposta di Foucault: la biopolitica è la forma di governo di una nuova dinamica delle forze che esprimono fra loro delle relazioni di potere che il mondo classico non conosceva.

Questa dinamica sarà descritta, via via dallo sviluppo della ricerca., come l’emergenza di una potenza multipla ed eterogenea di resistenza e di creazione che mette radicalmente in discussione ogni programmazione trascendentale ed ogni regolazione che sia esterna alla sua costituzione. La nascita dei biopoteri e la ridefinizione del problema della sovranità, sono per noi comprensibili solo su questa base. Se la dinamica di questa potenza, fondata sulla « libertà » dei « soggetti » e sulla loro capacità di agire sulla « condotta degli altri », è enunciata in modo coerente solo alla fine della vita di Foucault, mi sembra che tutta la sua opera tenda a questo esito. L’entrata della « vita nella storia » è analizzata da Foucault attraverso lo sviluppo dell’economia politica. Foucault dimostra come le tecniche di potere cambino nel momento preciso in cui l’economia (in quanto governo della famiglia) e la politica (in quanto governo della polis) si integrano l’una nell’altra.

I nuovi dispositivi biopolitici nascono nel momento in cui si pone la questione del « modo di gestire correttamente gli individui, i beni, le ricchezze come si può fare all’interno di una famiglia, come lo può fare un buon padre di famiglia che sa dirigere sua moglie, i suoi figli, i suoi domestici, che sa far prosperare la sua famiglia, che sa mediare per essa le alleanze che convengono, come introdurre questa attenzione, questa meticolosità , questo tipo di rapporto del padre con la sua famiglia all’interno della gestione di un Stato? »3.

Ma perché occorre cercare l’ »arcana imperii » della modernità nell’Economia politica? La biopolitica compresa come rapporto fra governo-popolazione-economia politica rinvia ad una dinamica delle forze che fonda un nuovo rapporto fra ontologia e politica. L’economia politica di cui parla Foucault non è l’economia politica del capitale e del lavoro degli economisti classici, né la critica dell’economia marxiana del « lavoro vivente ». Si tratta di un’economia politica delle forze tanto vicinissima quanto lontanissima da questi due punti di vista. Vicinissima dal punto di vista di Marx, perché il problema del coordinamento e del comando dei rapporti fra gli uomini in quanto viventi e degli uomini con le « cose », al fine di estrarre « più forza », non è un semplice problema economico, ma ontologico. Lontanissimo, perché Foucault rimprovera a Marx e all’economia politica di ridurre le relazioni fra forze ai rapporti capitale e lavoro, facendo di queste relazioni simmetriche e binarie la fonte di ogni dinamica sociale e di tutte le relazioni di potere. L’economia politica di cui parla Foucault governa, al contrario, « tutt’un campo materiale complesso in cui entrano in gioco le risorse naturali, i prodotti del lavoro, la loro circolazione, l’ampiezza del commercio, ma anche la pianificazione delle città e delle strade, le condizioni di vita (casa, alimentazione,…), il numero di abitanti, la loro longevità, il loro vigore e la loro abitudine al lavoro. » 4 L’economia politica, come sintagma del biopolitico, comprende quindi i dispositivi del potere che permettono di massimizzare la molteplicità delle relazioni fra forze che sono coestensive al corpo sociale e non solo, come nell’economia politica classica e la sua critica, il rapporto fra capitale e lavoro.

Nell’economia politica delle forze si esprimono delle nuove relazioni di potere e, per descriverle, Foucault ha bisogno di una nuova teoria politica e di una nuova ontologia. Infatti, la biopolitica, si « pota » e si « ancora » su una molteplicità di relazioni di comando e di obbedienza fra forze che il potere « coordina, istituzionalizza, stratifica, finalizza », ma che non sono la sua proiezione pura e semplice sugli individui. Il problema politico fondamentale della modernità non è quello di una fonte di potere unica e sovrana, ma quello di una moltitudine di forze che agiscono e reagiscono fra loro secondo rapporti di obbedienza e di comando. Le relazioni fra uomo e donna, fra maestro e alunno, fra medico e malato, fra padrone e operaio con le quali Foucault esemplifica la dinamica del corpo sociale, sono relazioni fra forze che implicano in ogni momento una relazione di potere. Se secondo questa descrizione il potere si costituisce partendo dal basso, allora occorre effettuare un’analisi ascendente della costituzione dei dispositivi del potere partendo dai meccanismi infinitesimi che sono poi « investiti, colonizzati, utilizzati, piegati, trasformati, istituzionalizzati da meccanismi sempre più generali e da forme di dominazione globali. »

La biopolitica è quindi il coordinamento strategico di queste relazioni di potere finalizzate affinché i viventi producano più forza. La biopolitica è un rapporto strategico e non il potere di dettare legge o di fondare la sovranità. « Coordinare e finalizzare », sono, secondo le parole di Foucault, le funzioni della biopolitica che, nel momento stesso in cui opera in questo modo, riconosce di non essere la fonte del potere. Coordina e finalizza una potenza che non le appartiene in proprio, che viene da « fuori ». Il biopotere nasce sempre da altro da sé.

3. Storicamente è la socializzazione delle forze che l’economia politica vuole governare che mette in crisi la forma del potere sovrano e che obbliga la biopolitica a una « immanenza », sempre più spinta, delle sue tecnologie di governo alla « società ». Ed è sempre essa che spinge il potere a sdoppiarsi in dispositivi « complementari » e « incompatibili » che esprimono, nella nostra attualità, una « trascendenza immanente », cioè un’integrazione del biopotere e del potere sovrano.

Infatti, l’emergenza della serie solidale fra arte di governare-popolazione-ricchezza sposta radicalmente il problema della sovranità. Foucault non trascura l’analisi della sovranità, afferma solo che la potenza fondatrice non è più dalla parte del potere, perché questo è « cieco e impotente »5, ma dal lato delle forze che costituiscono il « corpo sociale » o la « società ». Che il potere sia impotente e cieco non significa affatto che abbia perso la sua efficienza: la sua impotenza è ontologica. Da questo punto di vista non si rende un favore al pensiero di Foucault quando si descrive il suo
percorso nell’analisi delle relazioni di potere come una semplice successione e sostituzione di differenti dispositivi, perché il dispositivo biopolitico non sostituisce la sovranità, ma sposta la sua funzione rendendo ancora più « acuto il problema della sua fondazione ».

« Cosicché occorre capire bene le cose, non come la sostituzione di una società di sovranità con una società di disciplina, e poi di una società di disciplina con una società, diciamo, di governo. Abbiamo, infatti, un triangolo: sovranità-disciplina, gestione governativa il cui bersaglio principale è la popolazione. » 6 Occorre piuttosto pensare la presenza simultanea dei differenti dispositivi che si articolano e si distribuiscono diversamente secondo la potenza del succedersi di governo, popolazione, economia politica.

Si può leggere quindi lo sviluppo della biopolitica non come l’organizzazione di una relazione di potere unilaterale, ma come la necessità di assicurare un coordinamento immanente e strategico di forze? Ciò che ci interessa di sottolineare è la differenza dei principi e delle dinamiche che reggono la socializzazione delle forze, il potere sovrano e il biopotere. I rapporti fra questi ultimi possono essere capiti solo sulla base dell’azione multipla ed eterogenea delle forze. Senza l’introduzione della « libertà » e della resistenza delle forze, i dispositivi del potere moderno restano incomprensibili e la loro intelligibilità sarà inesorabilmente riportata alla logica della scienza politica.

Ciò che Foucault esprime in modo seguente: « la resistenza viene quindi in primo, e rimane superiore a tutte le forze del processo; costringe, sotto il suo effetto, i rapporti di potere a cambiare. Considero quindi che il termine « resistenza » è la parola più importante, la parola chiave di questa dinamica. »7

4. Negli anni ’70 Foucault pensa questa nuova concezione del potere attraverso, fondamentalmente, il modello della battaglia e della guerra. In questo modo di comprendere il potere e le relazioni sociali c’è veramente una « libertà » (un’autonomia e un’indipendenza) delle forze in gioco, ma si tratta piuttosto di una libertà che non può che essere intesa come « potere di privarne altri ». Infatti nella guerra ci sono i forti e i deboli, i furbi e gli ingenui, i vincitori e i sconfitti, e tutti sono dei « soggetti attori » e « liberi », anche se questa libertà consiste solo nell’appropriazione, la conquista e l’assoggettamento delle altre forze.

Foucault, che fa funzionare questo modello di potere come « scontro bellico delle forze » contro la tradizione filosofico-giuridica del contratto e della sovranità, è già solidamente inserito in un paradigma in cui l’articolazione dei concetti di potenza, differenza e libertà delle forze serve a spiegare la relazione sociale. Ma questa « filosofia » della differenza rischia di considerare tutti i rapporti fra gli uomini, di qualsiasi natura essi siano, come rapporti di dominazione. Ma i corpi non sono già e sempre presi nei dispositivi del potere. Il potere, non è una relazione unilaterale, una
dominazione totalitaria sugli individui data come attraverso l’esercizio del Panopticon 8, ma una relazione strategica. Il potere è esercitato da ogni forza della società e passa dai corpi, non perché « onnipotente e onnisciente », ma perché le forze sono le potenze del corpo. Il potere viene dal basso, le relazioni che lo costituiscono sono multiple ed eterogenee. Ciò che si chiama potere è un’integrazione, un coordinamento ed una finalizzazione dei rapporti fra una molteplicità di forze. Come fare uscire questa nuova concezione del potere fondata sulla potenza, la differenza e l’autonomia delle forze dal modello della « dominazione universale », come realizzare una « libertà » e una potenza che non siano solo di dominio o di resistenza.  È in risposta a questo interrogativo che Foucault sviluppa il passaggio dal modello della guerra a quello del « governo ». Questa tematica del governo era già presente nelle riflessioni di Foucault, perché definisce l’esercizio del potere della biopolitica. Lo spostamento che Foucault opera, durante gli anni ’80, consiste nel fatto di considerare l’ « arte di governare » non più solo come strategia del potere, anche biopolitico, ma come azione dei soggetti su sé stessi e sugli altri. Cerca dagli antichi la risposta a questa questione: come i soggetti diventano attivi, come il governo di sé e degli altri apre a soggettivazioni indipendenti dell’arte di governo della biopolitica? Così il « governo delle anime » è la posta in gioco delle lotte politiche e non esclusivamente la modalità d’azione del biopotere.

Questo passaggio all’etica è una necessità interna all’analisi foucaultiana del potere. Gilles Deleuze ha ragione di sottolineare che non ci sono due Foucault, il Foucault dell’analisi del potere e il Foucault della problematica del soggetto. Un’interrogazione attraversa tutta l’opera di Foucault: come afferrare queste relazioni di potere infinitesimali, diffuse, eterogenee affinché non si risolvano sempre in dominio o in fenomeni di resistenza?9  Come questa nuova ontologia delle forze può dare luogo a processi di costituzione politica inediti e a processi di soggettivazione indipendenti?

5. È solo negli anni ’80, dopo una lunga deviazione per l’etica, che Foucault torna sul suo concetto di « potere ». Nelle sue ultime interviste, Foucault fa autocritica, perché considera « che, come tanti altri, non è stato chiaro e non ha utilizzato le parole adatte per parlare del potere. » Vede retrospettivamente il suo lavoro come un’analisi e una storia di differenti modi di soggettivazione dell’essere umano nella cultura occidentale, piuttosto che come un’analisi delle trasformazioni dei dispositivi del potere. « non è quindi il potere, ma il soggetto, che costituisce il tema generale delle mie ricerche. »10

L’analisi dei dispositivi di potere deve quindi partire, senza nessuna ambiguità, non dalla dinamica dell’istituzione, anche biopolitica, ma dalla dinamica delle forze e della « libertà » dei soggetti, perché se si parte dalle istituzioni per porre la questione del potere, si arriverà inevitabilmente su una teoria del « soggetto di diritto ». In quest’ultima e definitiva teoria del « potere », Foucault distingue tre concetti differenti che sono normalmente confusi in un’unica categoria: le relazioni strategiche, le tecniche di governo e gli stati di dominazione.

Prima di tutto, precisa che occorre parlare delle relazioni di potere, piuttosto che del potere, perché l’accento deve essere messo sulla relazione stessa e non sui suoi termini, essendone questi ultimi i prodotti e non i presupposti. La caratterizzazione delle relazioni strategiche in quanto giochi di potere « infinitesimali, mobili, reversibili, instabili » è già acquisita dagli anni ’70. La novità che Foucault introduce in quest’epoca, e che era già contenuta nel concetto nietscheano di « forze » da cui Foucault trae la sua concezione dei « rapporti strategici », è la modalità per cui il potere si esercita all’interno di una relazione amorosa, del rapporto fra maestro e alunno, fra marito e moglie, fra figli e genitori, … Questa modalità è definita come « azione su un’azione » e si svolge dalla volontà di « condurre le condotte degli altri. »
« Mi sembra che occorra distinguere fra le relazioni di potere come giochi strategici fra libertà – per cui gli uni tentano di determinare la condotta degli altri, e a cui gli altri rispondono cercando di non lasciarsi determinare la propria condotta o cercando di determinare, di rimando, la condotta degli altri – e gli stati di dominazione, che sono ciò che di solito si definisce potere. »11 Il potere è dunque definito come la capacità di strutturare il campo di azione dell’altro, di intervenire nella sfera delle sue azioni possibili. Questa nuova concezione del potere svolge ciò che era implicito nel modello della battaglia e della guerra, ma che non trovava ancora un’espressione coerente, cioè che bisogna presupporre, per pensare l’esercizio del potere, che le forze impegnate nella relazione, siano virtualmente « libere ». Il potere è un modo di azione sui « soggetti attori », « soggetti liberi, in quanto sono liberi. »

« Una relazione di potere, invece, si articola su due elementi che sono indispensabili perché si abbia una vera relazione di potere: che « l’altro » (quello su cui si esercita) sia ben riconosciuto e mantenuto fino alla fine dell’azione; e che si apra, davanti alla relazione di potere, un intero campo di risposte, reazioni, effetti, invenzioni possibili. »12 In questo quadro, che i soggetti siano liberi significa che « hanno sempre la possibilità di cambiare la situazione, che questa possibilità esiste sempre. » Questa modalità dell’esercizio del potere, permette a Foucault di rispondere alle critiche che gli erano indirizzate sui suoi primi lavori sul potere: « non ho mai voluto dire che eravamo sempre intrappolati, ma al contrario, che siamo sempre liberi. E infine, che c’è sempre la possibilità di trasformare le cose. »13

Gli « stati di dominazione », invece, sono caratterizzati dal fatto che il rapporto strategico sia stabilizzato nelle istituzioni e che la mobilità, la reversibilità e l’instabilità dell’ « azione su un’altra azione », siano limitate. I rapporti asimmetrici che ogni relazione sociale contiene sono cristallizzati e perdono la libertà, la « fluidità » e la « reversibilità » delle relazioni strategiche. Fra le relazioni strategiche e gli stati di dominazione Foucault mette le « tecnologie governative », cioè l’insieme di pratiche attraverso le quali si può « costituire, definire, organizzare, strumentalizzare le strategie che gli individui, nella loro libertà, possono avere gli uni nei confronti degli altri. »14

Per Foucault le tecnologie governative hanno il ruolo centrale nelle relazioni di potere, perché è attraverso queste che i giochi strategici possono essere chiusi o aperti, è attraverso il loro esercizio che si cristallizzano e si fissano in relazioni asimmetriche istituzionalizzate (stati di dominazione) o nelle relazioni fluide e reversibili, aperte alla creazione delle soggettivazioni che sfuggono al potere biopolitico.

Alla frontiera fra « relazioni strategiche » e « stati di dominazione », sul campo delle « tecniche di governo », la lotta etico-politica assume tutto il suo senso.

L’azione etica è quindi concentrata sul rapporto fra relazioni strategiche e tecnologie di governo e ha due finalità maggiori: 1) permettere di giocare le relazioni strategiche con il minimo possibile di dominazione 15 dandosi delle regole di diritto, delle tecniche di gestione dei rapporti con gli altri e anche di rapporto con sé. 2) aumentare la libertà, la mobilità e la reversibilità dei giochi di potere perché sono le condizioni della resistenza e della creazione.

6. Il rapporto fra resistenza e creazione è l’ultimo limite che il pensiero di Foucault era pronto a superare. È all’interno delle relazioni strategiche e della volontà dei soggetti virtualmente liberi di « condurre la condotta degli altri », che si possono trovare le forze che resistono e che creano. Ciò che resiste al potere, alla fissazione delle relazioni strategiche in relazioni di dominazione, alla riduzione degli spazi di libertà nel desiderio di condurre la condotta degli altri, bisogna cercarlo all’interno di questa dinamica strategica. È in questo senso, che la vita e il vivente diventano così la « materia etica » che resiste e crea insieme nuove forme di vita.
In un’intervista dell’84, un anno prima della sua morte, gli è stata posta una domanda sulla definizione del rapporto fra resistenza e creazione: 
« - È solo in termini di negazione che si è elaborato il concetto di resistenza. Come Lei la intende, tuttavia, la resistenza non è solo una negazione: è un processo di creazione; cioè creare, ricreare, trasformare la situazione, partecipare attivamente al processo, è resistere.

- Si, è così che definirei le cose. Dire di no, costituisce la forma minimale di resistenza. Ma naturalmente, in certi momenti, è molto importante. Bisogna dire di no e fare di questo no una forma di resistenza decisiva. »16
E nella stessa intervista, destinata alla rivista Body Politic, Foucault afferma che le minoranze (omosessuali) per le quali il rapporto fra resistenza e creazione è una questione di sopravvivenza politica, non devono solo difendersi e resistere, « ma creare nuove forme di vita, creare una cultura, dobbiamo affermarci e anche affermarci non solo in quanto identità, ma in quanto forza creatrice. »17

I rapporti con sé, i rapporti che dobbiamo mantenere fra di noi, attraverso i quali Foucault era arrivato a questa nuova definizione del potere, non sono rapporti di identità, « devono essere piuttosto rapporti di differenziazione, di creazione, d’innovazione. »18

Ed è su questa linea di cresta del rapporto fra resistenza e creazione che bisogna prolungare il lavoro di Foucault. Il percorso di Foucault permette di pensare il rovesciamento del biopotere in una biopolitica, l’ « arte di governare » in produzione e governo delle nuove forme di vita. Proseguire il
movimento del pensiero foucaultiano è stabilire una distinzione concettuale e politica fra biopotere e biopolitica.

Note

1 Michel Foucault, La volonté de savoir, p. 187
2 ibidem, p. 188
3 Michel Foucault, « La gouvernabilité », Dits et écrits, Tome IV, pp.641-642
4 Michel Foucault, La politique de la santé au XVIII ème siècle, p.729
5  “ Il potere non è onnipotente, onnisciente, al contrario! Se le relazioni di potere hanno prodotto forme di inchiesta, di analisi dei modi di sapere, è precisamente perché il potere non è onnisciente, ma cieco (…). Se si assiste allo sviluppo di tante forze di potere, di tanti sistemi di controllo, di tante forme di sorveglianza, è precisamente perché il potere è sempre impotente. “ Michel Foucault, Précisions sur le pouvoir. Réponses à certaines critiques, p. 625.
6 Michel Foucault, « La gouvernabilité », op.cit., p. 654.
7 Michel Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 741.
8 Michel Foucault, ha spiegato, in risposta alle critiche « marxiste » lanciate contro di lui dall’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, che la sua concezione delle relazioni di potere non « si riduce per nulla a questa figura. »
9 Gilles Deleuze, Foucault, Editions de Minuit, 1986
10 Michel Foucault, Deux essais sur le sujet et le pouvoir, p. 298.
11 Michel Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 729.
12 Michel Foucault, Deux essais sur le sujet et le pouvoir, p. 313. La relazione fra il maestro e il suo schiavo è una relazione di potere quando la fuga è una possibilità di azione per quest’ultimo, inversamente si tratta di un semplice esercizio della forza fisica.
13 Michel Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 740.
14 Michel Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 728.
15 Sempre nell’ultima parte della sua vita Foucault, si pone il problema di come rendere simmetriche le relazioni strategiche. Questa tematica è solo abbozzata attraverso il tema dell’ « amicizia ». Gabriel Tarde, un autore di cui, altrove, ho confrontato il pensiero con quello di Foucault, esprime, la necessità, partendo delle stesse « relazioni strategiche » foucaultiane, di fondare la loro dinamica non solo sull’asimmetria ma anche sulla simpatia. « Più stretta ancora e più lontana della verità è la definizione provata recentemente da un sociologo insigne, che dà per priorità caratteristica agli atti sociali l’essere imposti dall’esterno attraverso la costrizione. Non è che riconoscere, in fatto di legami sociali, i rapporti fra maestro e soggetto fra professore e alunno, fra genitori e figli, senza avere nessuna considerazione per le libere relazioni degli uguali fra di loro. Ed è chiudere gli occhi per non vedere che, nelle scuole medie stesse, l’educazione che i ragazzi si danno liberamente imitandosi gli uni con gli altri, fiutando, per così dire, i loro esempi, o anche quelli dei loro insegnanti, che si interiorizzano, assume molta più importanza di quella che ricevono o subiscono per forza. » Gabrile Tarde, La logique sociale, institut Synthélabo, Paris, 1999, p. 62.
16 Michel Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 741.
17 Michel Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 736.
18 Michel Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 739.
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