Ma i lavori di Foucault erano solo indirettamente
indirizzati alla descrizione di questi nuovi biopoteri. Se il potere prende la
vita come oggetto del suo esercizio, Foucault è interessato a determinare ciò
che nella vita gli resiste e, resistendogli, crea delle forme di
soggettivazione e delle forme di vita che sfuggono ai biopoteri. Definire le condizioni
di un nuovo « processo di creazione politica, confiscato dal 19mo secolo
dalle grandi istituzioni politiche e i grandi partiti politici », sembra
essere il filo conduttore che attraversa tutta la riflessione di Foucault.
Infatti, l’introduzione « della vita nella storia » è positivamente
interpretata da Foucault come una possibilità di ;concepire una nuova ontologia
che parte dal corpo e dalle sue potenze per pensare il « soggetto politico
come soggetto etico!, contro la tradizione del pensiero occidentale che lo
pensa esclusivamente sotto la forma di « soggetto del diritto ».
Foucault interroga il potere, i suoi dispositivi e le sue
pratiche non più a partire da una teoria dell’obbedienza e delle sue forme di
legittimazione ma a partire da una teoria della « libertà » e della
« capacità di trasformazione » che ogni « gioco di potere »
implica. La nuova ontologia che l’introduzione della « vita nella
storia » afferma, permette a Foucault di « far valere la libertà del
soggetto » nella costituzione del rapporto con sé e nella costituzione del
rapporto con gli altri, ciò che è, per esso, la « materia stessa
dell’etica ».
Habermas e i filosofi dello Stato di diritto non si sono sbagliati quando hanno preso il
pensiero di Foucault come bersaglio privilegiato, perché rappresenta
un’alternativa radicale ad un’etica trascendentale della comunicazione e dei
diritti umani.
2. Recentemente,
Giorgio Agamben, in un libro che si inserisce esplicitamente nelle ricerche
iniziate attorno al concetto di biopolitica, afferma che la distinzione che la
teoria e la politica degli anziani stabilivano fra zoe e bios, fra vita
naturale e vita politica, fra l’uomo come semplice vivente che aveva il suo
spazio di espressione nella casa e l’uomo come soggetto politico che aveva il
suo spazio di espressione nella polis, di questa distinzione quindi, « non
ne sappiamo più nulla ». Come per Foucault, l’introduzione della zoe nella
sfera della polis costituisce l’evento decisivo
della modernità che marca una trasformazione radicale delle categorie politiche e filosofiche del pensiero classico. Ma questa impossibilità di distinguere fra zoe e bios, fra l’uomo come semplice vivente e l’uomo come soggetto politico è il prodotto dell’azione del potere sovrano o è il risultato dell’azione delle nuove forze su cui il potere sovrano non ha « nessuna presa »? La risposta di Agamben è molto ambigua e oscilla continuamente fra queste due alternative. Tutt’altra è la risposta di Foucault: la biopolitica è la forma di governo di una nuova dinamica delle forze che esprimono fra loro delle relazioni di potere che il mondo classico non conosceva.
della modernità che marca una trasformazione radicale delle categorie politiche e filosofiche del pensiero classico. Ma questa impossibilità di distinguere fra zoe e bios, fra l’uomo come semplice vivente e l’uomo come soggetto politico è il prodotto dell’azione del potere sovrano o è il risultato dell’azione delle nuove forze su cui il potere sovrano non ha « nessuna presa »? La risposta di Agamben è molto ambigua e oscilla continuamente fra queste due alternative. Tutt’altra è la risposta di Foucault: la biopolitica è la forma di governo di una nuova dinamica delle forze che esprimono fra loro delle relazioni di potere che il mondo classico non conosceva.
Questa dinamica sarà descritta, via via dallo sviluppo della
ricerca., come l’emergenza di una potenza multipla ed eterogenea di resistenza
e di creazione che mette radicalmente in discussione ogni programmazione
trascendentale ed ogni regolazione che sia esterna alla sua costituzione. La
nascita dei biopoteri e la ridefinizione del problema della sovranità, sono per
noi comprensibili solo su questa base. Se la dinamica di questa potenza,
fondata sulla « libertà » dei « soggetti » e sulla loro
capacità di agire sulla « condotta degli altri », è enunciata in modo
coerente solo alla fine della vita di Foucault, mi sembra che tutta la sua
opera tenda a questo esito. L’entrata della « vita nella storia » è analizzata da Foucault
attraverso lo sviluppo dell’economia politica. Foucault dimostra come le
tecniche di potere cambino nel momento preciso in cui l’economia (in quanto
governo della famiglia) e la politica (in quanto governo della polis) si
integrano l’una nell’altra.
I nuovi dispositivi biopolitici nascono nel momento in cui
si pone la questione del « modo di gestire correttamente gli individui, i
beni, le ricchezze come si può fare all’interno di una famiglia, come lo può
fare un buon padre di famiglia che sa dirigere sua moglie, i suoi figli, i suoi
domestici, che sa far prosperare la sua famiglia, che sa mediare per essa le
alleanze che convengono, come introdurre questa attenzione, questa meticolosità
, questo tipo di rapporto del padre con la sua famiglia all’interno della gestione
di un Stato? »3.
Ma perché occorre cercare l’ »arcana imperii »
della modernità nell’Economia politica? La biopolitica compresa come rapporto
fra governo-popolazione-economia politica rinvia ad una dinamica delle forze
che fonda un nuovo rapporto fra ontologia e politica. L’economia politica di
cui parla Foucault non è l’economia politica del capitale e del lavoro degli
economisti classici, né la critica dell’economia marxiana del « lavoro
vivente ». Si tratta di un’economia politica delle forze tanto vicinissima quanto lontanissima da questi due punti di vista. Vicinissima dal punto di
vista di Marx, perché il problema del coordinamento e del comando dei rapporti
fra gli uomini in quanto viventi e degli uomini con le « cose », al
fine di estrarre « più forza », non è un semplice problema economico,
ma ontologico. Lontanissimo, perché Foucault rimprovera a Marx e all’economia
politica di ridurre le relazioni fra forze ai rapporti capitale e lavoro,
facendo di queste relazioni simmetriche e binarie la fonte di ogni dinamica sociale e di tutte le relazioni di potere. L’economia politica di cui
parla Foucault governa, al contrario, « tutt’un campo materiale complesso
in cui entrano in gioco le risorse naturali, i prodotti del lavoro, la loro
circolazione, l’ampiezza del commercio, ma anche la pianificazione delle città
e delle strade, le condizioni di vita (casa, alimentazione,…), il numero di
abitanti, la loro longevità, il loro vigore e la loro abitudine al
lavoro. » 4 L’economia politica, come sintagma del biopolitico, comprende
quindi i dispositivi del potere che permettono di massimizzare la molteplicità
delle relazioni fra forze che sono coestensive al corpo sociale e non solo,
come nell’economia politica classica e la sua critica, il rapporto fra capitale
e lavoro.
Nell’economia politica delle forze si esprimono delle nuove
relazioni di potere e, per descriverle, Foucault ha bisogno di una nuova teoria
politica e di una nuova ontologia. Infatti, la biopolitica, si
« pota » e si « ancora » su una molteplicità di relazioni
di comando e di obbedienza fra forze che il potere « coordina,
istituzionalizza, stratifica, finalizza », ma che non sono la sua proiezione
pura e semplice sugli individui. Il problema politico fondamentale della
modernità non è quello di una fonte di potere unica e sovrana, ma quello di una
moltitudine di forze che agiscono e reagiscono fra loro secondo rapporti di
obbedienza e di comando. Le relazioni fra uomo e donna, fra maestro e alunno,
fra medico e malato, fra padrone e operaio con le quali Foucault esemplifica la dinamica del corpo sociale, sono relazioni
fra forze che implicano in ogni momento una relazione di potere. Se secondo
questa descrizione il potere si costituisce partendo dal basso, allora occorre
effettuare un’analisi ascendente della costituzione dei dispositivi del potere
partendo dai meccanismi infinitesimi che sono poi « investiti,
colonizzati, utilizzati, piegati, trasformati, istituzionalizzati da meccanismi
sempre più generali e da forme di dominazione globali. »
La biopolitica è quindi il coordinamento strategico di
queste relazioni di potere finalizzate affinché i viventi producano più forza.
La biopolitica è un rapporto strategico e non il potere di dettare legge o di
fondare la sovranità. « Coordinare e finalizzare », sono, secondo le
parole di Foucault, le funzioni della biopolitica che, nel momento stesso in
cui opera in questo modo, riconosce di non essere la fonte del potere. Coordina
e finalizza una potenza che non le appartiene in proprio, che viene da
« fuori ». Il biopotere nasce sempre da altro da sé.
3. Storicamente è
la socializzazione delle forze che l’economia politica vuole governare che
mette in crisi la forma del potere sovrano e che obbliga la biopolitica a una
« immanenza », sempre più spinta, delle sue tecnologie di governo
alla « società ». Ed è sempre essa che spinge il potere a sdoppiarsi
in dispositivi « complementari » e « incompatibili » che
esprimono, nella nostra attualità, una « trascendenza immanente »,
cioè un’integrazione del biopotere e del potere sovrano.
Infatti, l’emergenza della serie solidale fra arte di
governare-popolazione-ricchezza sposta radicalmente il problema della
sovranità. Foucault non trascura l’analisi della sovranità, afferma solo che la
potenza fondatrice non è più dalla parte del potere, perché questo è
« cieco e impotente »5, ma dal lato delle forze che costituiscono il
« corpo sociale » o la « società ». Che il potere sia
impotente e cieco non significa affatto che abbia perso la sua efficienza: la
sua impotenza è ontologica. Da questo punto di vista non si rende un favore al
pensiero di Foucault quando si descrive il suo
percorso nell’analisi delle relazioni di potere come una semplice successione e sostituzione di differenti dispositivi, perché il dispositivo biopolitico non sostituisce la sovranità, ma sposta la sua funzione rendendo ancora più « acuto il problema della sua fondazione ».
percorso nell’analisi delle relazioni di potere come una semplice successione e sostituzione di differenti dispositivi, perché il dispositivo biopolitico non sostituisce la sovranità, ma sposta la sua funzione rendendo ancora più « acuto il problema della sua fondazione ».
« Cosicché occorre capire bene le cose, non come la sostituzione
di una società di sovranità con una società di disciplina, e poi di una società
di disciplina con una società, diciamo, di governo. Abbiamo, infatti, un
triangolo: sovranità-disciplina, gestione governativa il cui bersaglio
principale è la popolazione. » 6 Occorre piuttosto pensare la presenza
simultanea dei differenti dispositivi che si articolano e si distribuiscono
diversamente secondo la potenza del succedersi di governo, popolazione,
economia politica.
Si può leggere quindi lo sviluppo della biopolitica non come
l’organizzazione di una relazione di potere unilaterale, ma come la necessità
di assicurare un coordinamento immanente e strategico di forze? Ciò che ci
interessa di sottolineare è la differenza dei principi e delle dinamiche che
reggono la socializzazione delle forze, il potere sovrano e il biopotere. I
rapporti fra questi ultimi possono essere capiti solo sulla base dell’azione
multipla ed eterogenea delle forze. Senza l’introduzione della
« libertà » e della resistenza delle forze, i dispositivi del potere
moderno restano incomprensibili e la loro intelligibilità sarà inesorabilmente
riportata alla logica della scienza politica.
Ciò che Foucault esprime in modo seguente: « la
resistenza viene quindi in primo, e rimane superiore a tutte le forze del
processo; costringe, sotto il suo effetto, i rapporti di potere a cambiare.
Considero quindi che il termine « resistenza » è la parola più
importante, la parola chiave di questa dinamica. »7
4. Negli anni ’70
Foucault pensa questa nuova concezione del potere attraverso, fondamentalmente,
il modello della battaglia e della guerra. In questo modo di comprendere il
potere e le relazioni sociali c’è veramente una « libertà »
(un’autonomia e un’indipendenza) delle forze in gioco, ma si tratta piuttosto
di una libertà che non può che essere intesa come « potere di privarne
altri ». Infatti nella guerra ci sono i forti e i deboli, i furbi e gli
ingenui, i vincitori e i sconfitti, e tutti sono dei « soggetti
attori » e « liberi », anche se questa libertà consiste solo
nell’appropriazione, la conquista e l’assoggettamento delle altre forze.
Foucault, che fa funzionare questo modello di potere come
« scontro bellico delle forze » contro la tradizione
filosofico-giuridica del contratto e della sovranità, è già solidamente
inserito in un paradigma in cui l’articolazione dei concetti di potenza,
differenza e libertà delle forze serve a spiegare la relazione sociale. Ma
questa « filosofia » della differenza rischia di considerare tutti i
rapporti fra gli uomini, di qualsiasi natura essi siano, come rapporti di
dominazione. Ma i corpi non sono già e sempre presi nei dispositivi del potere.
Il potere, non è una relazione unilaterale, una
dominazione totalitaria sugli individui data come attraverso l’esercizio del Panopticon 8, ma una relazione strategica. Il potere è esercitato da ogni forza della società e passa dai corpi, non perché « onnipotente e onnisciente », ma perché le forze sono le potenze del corpo. Il potere viene dal basso, le relazioni che lo costituiscono sono multiple ed eterogenee. Ciò che si chiama potere è un’integrazione, un coordinamento ed una finalizzazione dei rapporti fra una molteplicità di forze. Come fare uscire questa nuova concezione del potere fondata sulla potenza, la differenza e l’autonomia delle forze dal modello della « dominazione universale », come realizzare una « libertà » e una potenza che non siano solo di dominio o di resistenza. È in risposta a questo interrogativo che Foucault sviluppa il passaggio dal modello della guerra a quello del « governo ». Questa tematica del governo era già presente nelle riflessioni di Foucault, perché definisce l’esercizio del potere della biopolitica. Lo spostamento che Foucault opera, durante gli anni ’80, consiste nel fatto di considerare l’ « arte di governare » non più solo come strategia del potere, anche biopolitico, ma come azione dei soggetti su sé stessi e sugli altri. Cerca dagli antichi la risposta a questa questione: come i soggetti diventano attivi, come il governo di sé e degli altri apre a soggettivazioni indipendenti dell’arte di governo della biopolitica? Così il « governo delle anime » è la posta in gioco delle lotte politiche e non esclusivamente la modalità d’azione del biopotere.
dominazione totalitaria sugli individui data come attraverso l’esercizio del Panopticon 8, ma una relazione strategica. Il potere è esercitato da ogni forza della società e passa dai corpi, non perché « onnipotente e onnisciente », ma perché le forze sono le potenze del corpo. Il potere viene dal basso, le relazioni che lo costituiscono sono multiple ed eterogenee. Ciò che si chiama potere è un’integrazione, un coordinamento ed una finalizzazione dei rapporti fra una molteplicità di forze. Come fare uscire questa nuova concezione del potere fondata sulla potenza, la differenza e l’autonomia delle forze dal modello della « dominazione universale », come realizzare una « libertà » e una potenza che non siano solo di dominio o di resistenza. È in risposta a questo interrogativo che Foucault sviluppa il passaggio dal modello della guerra a quello del « governo ». Questa tematica del governo era già presente nelle riflessioni di Foucault, perché definisce l’esercizio del potere della biopolitica. Lo spostamento che Foucault opera, durante gli anni ’80, consiste nel fatto di considerare l’ « arte di governare » non più solo come strategia del potere, anche biopolitico, ma come azione dei soggetti su sé stessi e sugli altri. Cerca dagli antichi la risposta a questa questione: come i soggetti diventano attivi, come il governo di sé e degli altri apre a soggettivazioni indipendenti dell’arte di governo della biopolitica? Così il « governo delle anime » è la posta in gioco delle lotte politiche e non esclusivamente la modalità d’azione del biopotere.
Questo passaggio all’etica è una necessità interna
all’analisi foucaultiana del potere. Gilles Deleuze ha ragione di sottolineare
che non ci sono due Foucault, il Foucault dell’analisi del potere e il Foucault
della problematica del soggetto. Un’interrogazione attraversa tutta l’opera di
Foucault: come afferrare queste relazioni di potere infinitesimali, diffuse,
eterogenee affinché non si risolvano sempre in dominio o in fenomeni di
resistenza?9 Come questa nuova ontologia delle forze può dare luogo a processi di
costituzione politica inediti e a processi di soggettivazione indipendenti?
5. È solo negli
anni ’80, dopo una lunga deviazione per l’etica, che Foucault torna sul suo
concetto di « potere ». Nelle sue ultime interviste, Foucault fa autocritica, perché considera « che, come tanti altri, non è stato chiaro
e non ha utilizzato le parole adatte per parlare del potere. » Vede
retrospettivamente il suo lavoro come un’analisi e una storia di differenti
modi di soggettivazione dell’essere umano nella cultura occidentale, piuttosto
che come un’analisi delle trasformazioni dei dispositivi del potere. « non
è quindi il potere, ma il soggetto, che costituisce il tema generale delle mie
ricerche. »10
L’analisi dei dispositivi di potere deve quindi partire,
senza nessuna ambiguità, non dalla dinamica dell’istituzione, anche
biopolitica, ma dalla dinamica delle forze e della « libertà » dei
soggetti, perché se si parte dalle istituzioni per porre la questione del
potere, si arriverà inevitabilmente su una teoria del « soggetto di
diritto ». In quest’ultima e definitiva teoria del « potere », Foucault distingue tre concetti differenti che sono
normalmente confusi in un’unica categoria: le relazioni strategiche, le
tecniche di governo e gli stati di dominazione.
Prima di tutto, precisa che occorre parlare delle relazioni
di potere, piuttosto che del potere, perché l’accento deve essere messo sulla
relazione stessa e non sui suoi termini, essendone questi ultimi i prodotti e non i presupposti. La caratterizzazione delle relazioni strategiche in quanto giochi di potere
« infinitesimali, mobili, reversibili, instabili » è già acquisita
dagli anni ’70. La novità che Foucault introduce in quest’epoca, e che era già contenuta nel
concetto nietscheano di « forze » da cui Foucault trae la sua
concezione dei « rapporti strategici », è la modalità per cui il
potere si esercita all’interno di una relazione amorosa, del rapporto fra
maestro e alunno, fra marito e moglie, fra figli e genitori, … Questa modalità
è definita come « azione su un’azione » e si svolge dalla volontà di « condurre le condotte degli
altri. »
« Mi sembra che occorra distinguere fra le relazioni di potere come giochi
strategici fra libertà – per cui gli uni tentano di determinare la condotta
degli altri, e a cui gli altri rispondono cercando di non lasciarsi determinare
la propria condotta o cercando di determinare, di rimando, la condotta degli
altri – e gli stati di dominazione, che sono ciò che di solito si definisce
potere. »11 Il potere è dunque definito come la capacità di strutturare il
campo di azione dell’altro, di intervenire nella sfera delle sue azioni
possibili. Questa nuova concezione del potere svolge ciò che era implicito nel modello
della battaglia e della guerra, ma che non trovava ancora un’espressione
coerente, cioè che bisogna presupporre, per pensare l’esercizio del potere, che
le forze impegnate nella relazione, siano virtualmente « libere ». Il
potere è un modo di azione sui « soggetti attori », « soggetti liberi,
in quanto sono liberi. »
« Una relazione di potere, invece, si articola su due
elementi che sono indispensabili perché si abbia una vera relazione di potere:
che « l’altro » (quello su cui si esercita) sia ben riconosciuto e
mantenuto fino alla fine dell’azione; e che si apra, davanti alla relazione di
potere, un intero campo di risposte, reazioni, effetti, invenzioni
possibili. »12 In questo quadro, che i soggetti siano liberi significa che « hanno sempre la possibilità di
cambiare la situazione, che questa possibilità esiste sempre. » Questa
modalità dell’esercizio del potere, permette a Foucault di rispondere alle
critiche che gli erano indirizzate sui suoi primi lavori sul potere: « non
ho mai voluto dire che eravamo sempre intrappolati, ma al contrario, che siamo sempre liberi. E infine, che c’è sempre la possibilità di trasformare le cose. »13
Gli « stati di dominazione », invece, sono
caratterizzati dal fatto che il rapporto strategico sia stabilizzato nelle
istituzioni e che la mobilità, la reversibilità e l’instabilità dell’
« azione su un’altra azione », siano limitate. I rapporti asimmetrici
che ogni relazione sociale contiene sono cristallizzati e perdono la libertà,
la « fluidità » e la « reversibilità » delle relazioni
strategiche. Fra le relazioni strategiche e gli stati di dominazione Foucault
mette le « tecnologie governative », cioè l’insieme di pratiche
attraverso le quali si può « costituire, definire, organizzare,
strumentalizzare le strategie che gli individui, nella loro libertà, possono
avere gli uni nei confronti degli altri. »14
Per Foucault le tecnologie governative hanno il ruolo
centrale nelle relazioni di potere, perché è attraverso queste che i giochi
strategici possono essere chiusi o aperti, è attraverso il loro esercizio che si cristallizzano e si
fissano in relazioni asimmetriche istituzionalizzate (stati di dominazione) o
nelle relazioni fluide e reversibili, aperte alla creazione delle soggettivazioni che
sfuggono al potere biopolitico.
Alla frontiera fra « relazioni strategiche » e
« stati di dominazione », sul campo delle « tecniche di
governo », la lotta etico-politica assume tutto il suo senso.
L’azione etica è quindi concentrata sul rapporto fra
relazioni strategiche e tecnologie di governo e ha due finalità maggiori: 1)
permettere di giocare le relazioni strategiche con il minimo possibile di dominazione 15 dandosi delle
regole di diritto, delle tecniche di gestione dei rapporti con gli altri e
anche di rapporto con sé. 2) aumentare la libertà, la mobilità e la reversibilità dei
giochi di potere perché sono le condizioni della resistenza e della creazione.
6. Il rapporto
fra resistenza e creazione è l’ultimo limite che il pensiero di Foucault era
pronto a superare. È all’interno delle relazioni strategiche e della volontà
dei soggetti virtualmente liberi di « condurre la condotta degli
altri », che si possono trovare le forze che resistono e che creano. Ciò
che resiste al potere, alla fissazione delle relazioni strategiche in relazioni
di dominazione, alla riduzione degli spazi di libertà nel desiderio di condurre la
condotta degli altri, bisogna cercarlo all’interno di questa dinamica
strategica. È in questo senso, che la vita e il vivente diventano così la « materia etica » che resiste e crea insieme nuove forme di vita.
In un’intervista dell’84, un anno prima della sua morte, gli è stata posta una
domanda sulla definizione del rapporto fra resistenza e creazione:
« - È solo in termini di negazione che si è elaborato il concetto di resistenza. Come Lei la intende, tuttavia, la resistenza non è solo una negazione: è un processo di creazione; cioè creare, ricreare, trasformare la situazione, partecipare attivamente al processo, è resistere.
- Si, è così che definirei le cose. Dire di no, costituisce la forma minimale di resistenza. Ma naturalmente, in certi momenti, è molto importante. Bisogna dire di no e fare di questo no una forma di resistenza decisiva. »16
E nella stessa intervista, destinata alla rivista Body
Politic, Foucault afferma che le minoranze (omosessuali) per le quali il
rapporto fra resistenza e creazione è una questione di sopravvivenza politica,
non devono solo difendersi e resistere, « ma creare nuove forme di vita,
creare una cultura, dobbiamo affermarci e anche affermarci non solo in quanto
identità, ma in quanto forza creatrice. »17
I rapporti con sé, i rapporti che dobbiamo mantenere fra di
noi, attraverso i quali Foucault era arrivato a questa nuova definizione del
potere, non sono rapporti di identità, « devono essere piuttosto rapporti
di differenziazione, di creazione, d’innovazione. »18
Ed è su questa linea di cresta del rapporto fra resistenza e
creazione che bisogna prolungare il lavoro di Foucault. Il percorso di Foucault
permette di pensare il rovesciamento del biopotere in una biopolitica, l’
« arte di governare » in produzione e governo delle nuove forme di
vita. Proseguire il
movimento del pensiero foucaultiano è stabilire una distinzione concettuale e politica fra biopotere e biopolitica.
movimento del pensiero foucaultiano è stabilire una distinzione concettuale e politica fra biopotere e biopolitica.
Note
1 Michel Foucault, La volonté de savoir, p. 187
2 ibidem, p. 188
3 Michel
Foucault, « La gouvernabilité »,
Dits et écrits, Tome IV, pp.641-642
4 Michel Foucault, La
politique de la santé au XVIII ème siècle, p.729
5 “ Il potere non è onnipotente, onnisciente, al
contrario! Se le relazioni di potere hanno prodotto forme di inchiesta, di
analisi dei modi di sapere, è precisamente perché il potere non è onnisciente,
ma cieco (…). Se si assiste allo sviluppo di tante forze di potere, di tanti
sistemi di controllo, di tante forme di sorveglianza, è precisamente perché il
potere è sempre impotente. “ Michel Foucault, Précisions sur le
pouvoir. Réponses à certaines critiques, p. 625.
6 Michel
Foucault, « La
gouvernabilité », op.cit., p. 654.
7 Michel
Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 741.
8 Michel Foucault, ha spiegato, in risposta alle critiche
« marxiste » lanciate contro di lui dall’ex sindaco di Venezia,
Massimo Cacciari, che la sua concezione delle relazioni di potere non « si
riduce per nulla a questa figura. »
9 Gilles Deleuze,
Foucault, Editions de Minuit, 1986
10 Michel Foucault, Deux
essais sur le sujet et le pouvoir, p. 298.
11 Michel Foucault, Dits
et Ecrits, IV, p. 729.
12 Michel Foucault, Deux
essais sur le sujet et le pouvoir, p. 313. La relazione fra il maestro e il
suo schiavo è una relazione di potere quando la fuga è una possibilità di
azione per quest’ultimo, inversamente si tratta di un semplice esercizio della
forza fisica.
13 Michel
Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 740.
14 Michel
Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 728.
15 Sempre nell’ultima parte della sua vita Foucault, si pone
il problema di come rendere simmetriche le relazioni strategiche. Questa
tematica è solo abbozzata attraverso il tema dell’ « amicizia ».
Gabriel Tarde, un autore di cui, altrove, ho confrontato il pensiero con quello
di Foucault, esprime, la necessità, partendo delle stesse « relazioni
strategiche » foucaultiane, di fondare la loro dinamica non solo
sull’asimmetria ma anche sulla simpatia. « Più stretta ancora e più
lontana della verità è la definizione provata recentemente da un sociologo
insigne, che dà per priorità caratteristica agli atti sociali l’essere imposti
dall’esterno attraverso la costrizione. Non è che riconoscere, in fatto di
legami sociali, i rapporti fra maestro e soggetto fra professore e alunno, fra
genitori e figli, senza avere nessuna considerazione per le libere relazioni
degli uguali fra di loro. Ed è chiudere gli occhi per non vedere che, nelle
scuole medie stesse, l’educazione che i ragazzi si danno liberamente imitandosi
gli uni con gli altri, fiutando, per così dire, i loro esempi, o anche quelli
dei loro insegnanti, che si interiorizzano, assume molta più importanza di
quella che ricevono o subiscono per forza. » Gabrile Tarde, La logique
sociale, institut Synthélabo, Paris, 1999, p. 62.
16 Michel Foucault, Dits
et Ecrits, IV, p. 741.
17 Michel
Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 736.
18 Michel
Foucault, Dits et Ecrits, IV, p. 739.
http://www.multitudes.net/ |