“Tres pasiones, simples, pero abrumadoramente intensas, han gobernado mi vida: el ansia de amor, la búsqueda del conocimiento y una insoportable piedad por los sufrimientos de la humanidad. Estas tres pasiones, como grandes vendavales, me han llevado de acá para allá, por una ruta cambiante, sobre un profundo océano de angustia, hasta el borde mismo de la desesperación” — Bertrand Russell

4/11/13

Il Treasury USA tra Michal Kalecky e il ‘wishful thinking’

Michal Kalecky & Karl Marx
Partiamo da questa proposizione socio-giuridica per fissare un punto da cui decodificare lo scenario che si sta affacciando ai nostri occhi: 
 "Certamente, in un regime di permanente pieno impiego, il licenziamento cesserebbe di giocare il suo ruolo come strumento di disciplina [disciplinary measure]." | Kalecky "Aspetti politici del pieno impiego" (par.II.4)
Questo assunto, intuitivo, ci consente di comprendere sempre, alla stregua delle coordinate di navigazione, il dibattito che si è svolto sulla questione "pubblico impiego". A cui faccio rinvio, per chi non l'avesse seguito. Questo stesso assunto ci consente una digressione "storico-economica" molto interessante.

 La ritraiamo da un paper del prof. Aldo Barba, datato 25 maggio 2011, alla vigilia immediata di quella offensiva finale che, scatenata dalle vendite di Deutschebank sui titoli del nostro debito pubblico - a loro volta "figlie" del six packs approvato poche settimane prima-, innescò il gigantesco "regolamento di conti" che ha fatto emergere concretamente, per chi avesse occhi per vedere, la vera natura dell'euro. Sentite che dati ci offre:
Consideriamo brevemente alcuni dati essenziali. All'inizio degli anni settanta il peso sul prodotto della spesa pubblica al netto degli interessi è, in Italia, di sei punti percentuali più basso che in Francia e Germania. Nel 1980 la spesa pubblica al netto degli interessi in rapporto al prodotto è pari al 37% in Italia, al 45.4% in Francia e al 46.5% in Germania. Alla fine degli anni ottanta la nostra spesa primaria è allineata a quella dei tedeschi (43% circa), rimanendo in ogni caso inferiore di oltre cinque punti percentuali a quella dei francesi. Alla fine degli anni novanta la spesa primaria è pari in Italia al 41.5% del PIL, contro il 44.9% della Germania e il 49.6% della Francia (Fig. 1).
A fronte di questo differenziale negativo di spesa primaria -la ripresa (dell'incidenza della spesa su PIL, ndr.) dell’ultimo decennio è in buona misura determinato dal più marcato arresto della crescita nel nostro paese-, ancor più ampio è il differenziale negativo dal lato delle entrate. Il rapporto tra entrate e prodotto, nel 1970, in Italia è inferiore di 10 punti di PIL a quello di Francia e Germania; nel 1980, il differenziale è di oltre 12 punti di PIL; al termine degli anni ottanta la stabilizzazione finalmente si compie, e dal 1990 il dato italiano si avvicina a quello tedesco, rimanendo però inferiore di 7 punti a quello della Francia (Fig.2).
Rinviando alla lettura integrale dello studio (intitolato significativamente "La redistribuzione del reddito nell'Italia di Maastricht", il passaggio riportato ci induce ad alcune osservazioni, oggi più che mai attuali:
a) l'Italia degli anni '70 era un paese a bassa pressione fiscale, che consentiva ampi spazi di evasione ed elusione, ma anche a bassa spesa pubblica, comparativamente coi paesi europei omogenei, demograficamente e dal punto di vista industriale;
b) la logica finanziaria avrebbe implicato che, su quei livelli di spesa, attraverso meccanismi ben noti (allora anche ben più facili da applicare), aumentasse la pressione fiscale per portarla progressivamente ad un livello almeno pari a quello della spesa primaria (al netto degli interessi). Ciò avrebbe significato, in sè, una redistribuzione di ricchezza dal profitto e dal lavoro autonomo verso il lavoro dipendente, acquisendo allo Stato risorse che gli avrebbero consentito, nella fase di ripresa che si ebbe nella seconda metà degli anni '70, di agire con una riduzione del deficit di bilancio ed in presenza di una moderazione dell'inflazione, che avrebbero senz'altro lasciato spazio per stabilizzare il ciclo economico di fronte agli alterni eventi che sarebbero seguiti nei decenni successivi (ovviamente, al netto di ogni "delirante" vincolo esterno);
c) si scelse invece un'altra via: si iniziò a raccontare che occorresse moralizzare la spesa pubblica, identificandola col deficit, collegandola, con una simultanea compatta informazione mediatica in tal senso, con il "clientelismo", i "lacci e lacciuoli", la corruzione politica. E si arrivò al famoso "divorzio" tesoro-banca d'Italia, di cui lo studio di Barba ci offre una ricostruzione storico-politica veramente eloquente. Si alzarono i tassi di sconto, lasciandone la libera determinazione a una banca centrale legittimata non più dal Parlamento ma da se stessa, giustificando ciò come "necessità" legata al vincolo di cambio introdotto con l'entrata nello SME; e non solo quella spesa pubblica, pretesamente eccessiva e clientelare, decollò per via degli oneri degli interessi, ma ladisoccupazione iniziò stabilmente ad innalzarsi (il minimo, non a caso è nel 1975, poco sopra il 5%, mentre, ancora oggi, i giornaloni e i TG ci propinano che il picco attuale di disoccupazione non ricorreva dal 1977, quando, invece, quell'anno, era sotto il 6%);
d) dunque, con tutta evidenza, la finalità di SME-divorzio era quella di uscire dalla situazione descritta in partenza: reinstaurare la disciplina del lavoro e ridurre l'occupazione ripostando il licenziamento alla sua natura di più efficace misura disciplinare;
e) negli anni '80, ciò non riuscì completamente, perchè l'assenza di un vincolo esterno "fiscale", che agisse autoritativamente, via trattato, anche sull'indebitamento annuale, portò i partiti di governo a perseguire, per non perdere il consenso elettorale, deficit considerati oggi altissimi onde sostenere, attraverso la domanda interna, il calo della domanda esterna determinato dalle difficoltà di esportazione che il nuovo livello di cambio. Ciò specialmente con la ulteriore "restrizione" dello SME "credibile", a fascia di oscillazione ristretta, che aveva provocato le difficoltà di esportazione e dato la stura alle accuse colpevolizzatrici di bassa produttività delle maestranze italiane;
f) la riuscita parziale della manovra redistributiva che con ciò si era innescata, fece considerare un mero incidente di percorso l'uscita traumatica dallo SME nel 1992, tanto che lo stesso anno si "rilanciò", nella stessa direzione, aderendo a Maastricht, e rincorrendo da allora, ossessivamente, la disciplina di indebitamento e il consolidamento del bilancio grazie alle manovrone annuali di cui tutti sapete, vivendole ancora oggi sulla vostra (nostra) pelle.

Una cosa, in questa chiave storica, va ribadita.

Non c'è dubbio che il motore ideologico (prima ancora che teorico-economico: il monetarismo e la nuova macroeconomia classica, sono in fondo delle para-filosofie politiche con pseudodimostrazioni matematiche) di questo disegno abbia radice negli USA; sarebbe persino superfluo dimostrarlo. Ci limitiamo a sottolineare come alla rottura di Bretton Woods ed alle crisi petrolifere a sfondo politico-internazionale, segurono:
1) l'asserzione automatica (e strumentalmente infondata) che la rottura del gold standard "indiretto", connesso ai cambi (quasi)fissi, avrebbe generato inflazione in misura intollerabile...per i profitti come si affrettò a sostenere von Hayek, (la chiamò inefficienza nella "struttura del capitale);
2) l'affermazione concettuale della "inflazione attesa", come indice preponderante, sostenuta da Friedman - e che portò alla variante "ingannevole" della relativa curva di Phillips, sostenendosi che l'inflazione "elevata" potesse accentuare la disoccupazione (par.3), contro ogni evidenza dei dati che si manifestavano a seguito dell'applicazione di questa teoria. Ma non va sottaciuto che, in Europa, il monetarismo si affermò con una forza ideologica che deve a von Hayek la nuova direzione che, sul finire degli anni '70, prese la stessa costruzione europea.
Ora questa vicenda è giunta a un punto di svolta: in molti avete riportato nei commenti il riferimento alla nuova "nota" del Treasury USA sul mercantilismo tedesco, imputato di frenare la generale crescita nell'area euro

Alla qual cosa ho risposto (più volte) così:

E (purtroppo) non posso che ribadire la risposta già data all'ottimo Arturo ieri:
"L'avevano già detto col primo report del Treasury non appena la nuova Amministrazione Obama si era presentata al Congresso (parliamo di dicembre 2012).
http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2012/12/4/FINANZA-Dagli-Usa-un-attacco-alla-Germania-che-fa-esultare-l-Italia/343928/

Si sono poi mossi a qualsiasi livello di quelli possibili?
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/06/frattale-dello-sbarco-in-sicilia-quanto.html

Non risulta. Oggi siamo ridotti a intepretare i retroscenza del ridicolo balletto delle intercettazioni USA.

Rammento allora che il problema è di "vuoto"...: http://orizzonte48.blogspot.it/2013/10/le-forme-frattaliche-opache-e-la-fede.html

E la natura odia il vuoto...

Ormai mi sono fatto (frattalicamente) diffidente. Tanto più che lo dice pure Helmut Schimdt (forse ci tornerò sopra).

Ed allora ci torno sopra.

Il problema principale è talmente di sostanza, cioè di quel "modello culturale" di cui ha abbondamentemente parlato Cesare Pozzi rispetto alla stessa autoidentificazione del capitalismo attuale, che una singola presa di posizione, tra l'altro, come evidenziato, non "nuova", non basta.

Proprio in quanto proviene da un paese che non ha ancora risolto il proprio problema di modello culturale a ridaduta economico-sociale (sulla natura PUD€-propagandistica della separazione tra economia e cultura, vi rinvio al dialogo con Lorenzo Carnimeo).

E che paese! Quello che di modelli culturali di crescita e di società capitalista è il paradigma "esportatore" ancora in carica.

Anche se, attualmente, negli USA si ritrovano a porsi il problema del benessere legato al modello capitalista, nei termini sollevati da Kalecky: cioè, in quanto si ottenga la piena occupazione come condizione di crescita generale, stabilizzata e senza esclusione sociale diffusa , che elimini il carattere punitivo dellicenziamento, proprio in una paese che lo concepisce sempre, astrattamente, in termini di mobilità e di transito verso una nuova occupazione.

Solo che questa intrinseca visione, tipicamente, USA pone oggi capo ad un paradosso: si crede, pur oltre la barriera di un rinnegato monetarismo, che solo la banca centrale, la Fed, possa avere nel suo mandato la difesa del livello di occupazione. Mentre, vige, a livello di amministrazione centrale, ancora la regola del Balanced Budget Amendment, cioè del tetto al deficit spending, "no matter what", deficit impedito anche in funzione anticiclica e anticongiunturale. Quello stesso deficit-cap che, introdotto da Clinton, portò Hyman Minsky a parlare, profeticamente, di "Time Bomb to Subvert American Prosperity".

La conclusione è che in €uropa si stia tentando ancora, (specie nei paesi periferici mediterranei), l'operazione riuscita in Italia a cavallo tra gli anni '70 e '80, ma senza neanche un chiaro supporto degli USA (che al tempo furono decisivi, estendendoci l'ombra di Friedman, accolta entusiasticamente da Ciampi e Andreatta e tutt'ora distesa su BCE-Bundesbank), USA la cui linea di politica monetaria - con Krugman che spiega in continuazione come inflazione e default del debito USA siano spauracchi ridicoli agitati dai residui di un capitalismo finanziario che perso completamente il senso della realtà- è vanificata irrevocabilmente dalle poliiche di bilancio imposte dai tea-party: quand'anche si giungesse a un compromesso, evidenzia sempre Krugman, questo sarà sempre al ribasso, in politiche incapaci di smuovere quella che per gli USA rimane una stagnazione.

E quindi?

Da un lato, la presa del capitalismo reazionario che governa l'€uropa non pare allentarsi, tanto che, appunto, in Grecia, si verificano gli elementi di quegli"opposti estremismi" il cui esito finale è che, come già alla fine degli anni '70 in Italia, un regime anti-piena occupazione possa proporsi come il "male minore" di un ordine accettabile per i cittadini "terrorizzati"; dall'altra parte, questa tendenza, appunto, vive al di fuori del colossale alibi della contrapposizione atlantismo-carri armati comunisti. Cioè vive allo stato puro, €uristico, di conservazione-perpetuazione dell'assetto di Maastricht e dei suoi "derivati".

Quindi, non c'è un pericolo autonomo e reale di "destra" nazi-fascista: c'è, molto più semplicemente, un pericolo di "perpetuazione ad ogni costo" - e cinicamente propagandistica- di una linea reazionaria e restauratrice del capitalismo sfrenato che, formalmente, fa capo alla predominanza del modello tedesco, ma che, sostanzialmete, è sempre rafforzato (e "enforced") dalle inflessibili mire delle elites locali.

Questo anche per rispondere a Kthrcds sulla Le Pen e sugli sviluppi dello sfruttamento di Alba Dorata, rafforzativo, in ultima analisi, del regime €urofilo greco:certo che c'è un pericolo "destra", ma non ha nulla a che fare con la destra intesa nel senso novecentesco dei totalitarismi.

Anzi, il solo resuscitarne il fantasma, che presuntamente si aggiri per l'Europa, serve vieppiù alle elites reazionarie per generare la gran confusione che fa demonizzare gli Stati nazionali e il fondamento democratico degli stessi, basati sulle Costituzioni pluriclasse e redistributive avversate dal modello di Maastricht.

Non abbia timore Keith: la revitalizzazione del modello costituzionale-keynesiano, quale sostenuto dalla Le Pen nei termini attuali, ben illustrati da Sapir, sarà sempre un progresso nella protezione salariale rispetto alla situazione attuale (se non altro perchè reinverte, rispetto alla situazione attuale, il funzionamento "keynesiano" della curva di Phillips).

Il pericolo in tal senso, anche in chiave (post)euro-break, non è costituito da questa linea: semplicemente perchè sarebbe suicida, in termini di consenso, pensare che il recupero della piena occupazione, attraverso l'intervento dello Stato a tutela rinnovata dei diritti sociali (cioè il clou delle Costituzioni), possa risolversi in forme di restaurazione esattamente di ciò che questa linea sta combattendo. E cioè non avrebbe senso combattere la restaurazione arrembante e distruttiva attuale...per perpetuarla. E non a caso si mormora, da parte dei vari PUD€, contro i "populismi anti-europei".

La crescita della domanda interna, attraverso l'abbandono dei limiti fiscali folli e "ideologici" è la via offertaci: questa già di per sè allude al fatto che il vuoto di autoritarismo lasciato dall'euro non sarebbe colmato dall'ingannevole teoria dei tea-party in salsa nazionale.

Quest'ultima, oggi, è molto più rappresentata dalle forze ufficiali dei vari PUD€ europei (falsamente suddivisi in destra-sinistra), che si riposizionano in pallide chiavi critiche dell'euro-assetto, incentrate sull'improbabile tempestiva (nei tempi e nella misura) reflazione di una recalcitrante Germania. La quale preferirà uscire dall'euro piuttosto che mollare la presa sul modello mercantilista (ormai rivolto fuori dall'area euro): e ciò nel momento in cui, per seguire la indispensabile politica di rilancio e ammodernamento del proprio sistema sovraproduttivo - rispetto alla domanda interna e, alle condizioni attuali, pure a quella estera, che ha contribuito ad affossare col suo impunito mega-surplus in free raiding, consentito dalla sottovalutazione dell'euro rispetto al marco-, non fosse più in grado di offrirsi come esempio credibile per imporre deflazione e austerità agli altri paesi dell'area euro.

Lo dice, oggi, in un commento in margine all'ultima presa di posizione del Treasury, lo stesso "International New York Times".

Solo che per gli USA, nel cerchiobottismo attuale, peraltro consapevole che le politiche fiscali e commerciali tedesche non cambieranno di molto, si tratta di un contraddittorio wishful thinking, come dimostra il fatto che si affidano al giudizio profeticamente, ma irrealisticamente, ottimista di un professore italiano, per il quale, "Che posto nella Storia può assumere la Germania senza l'Europa? Una comunità di valori deve includere anche qualche tipo di solidarietà. Perchè senza di essa non sopravviverà".

Wishful thinking europeo a sostegno degli indecisi USA. Ma esattamente in contrasto: 
a) con le ragioni profonde della costruzione europea, radicate nell'internazionalismo, dispersivo della sovranità, teorizzato da Hayek;
b) con l'espressa previsione dei Trattati, antisolidaristica, che i tedeschi vogliono non attenuare, ma, ora più che mai, intensificare.
 Agli USA non rimane che scegliere: o da una parte o dall'altra. Non c'è una via europea di solidarietà che non c'è mai stata proprio perchè la sua assenza segna le ragioni stesse del modello €uropeo prescelto e il suo abbandono colpirebbe le ragioni "oligarchiche" di convenienza di questo assetto, culminante nell'euro.

Il wishful thinking irrealistico non porterà altro che ad accumulare un ritardo nel trovare una soluzione, prima che il crollo delle economie dell'euro area li trascini là dove la svalutazione del dollaro e le politiche monetarie (rinviando il tapering indefinitamente) non potranno evitare che si impantanino.

Il che, poi, è anche l'atteggiamento completamente fatalistico (sulla disponibilità della Germania) con cui le elites periferiche, e segnatamente quelle italiane, sperano che la situazione possa rivolversi prima che il fiscal compact, ormai in pieno regime - nella portata pluriennale di manovre fondate su previsioni di crescita a dir poco infondate-, dissolva ogni loro possibilità di perpetuare il consenso elettorale di cui godono. Grazie ad una propaganda mediatica sempre più "surreale": ma per quanto ancora?

Cosa possiamo dire sull'inflazione degli anni '70:
a) Segue le dinamiche di salari e PIL
b) La crescita dell'inflazione essendo inferiore a quella di Salari e PIL, presenta quindi negli anni '70 dei vantaggi. I vantaggi derivano dalla maggiore crescita di Salari e Prodotto interno.
2) La quota salari sul Pil cresce ad inizio anni '70, probabilmente le aspettative inflazionistiche causate da Nixon, e dall'abbandono del sistema aureo, generano investimenti e l'offerta (cioè la domanda da parte delle imprese) di lavoro aumentata, fa aumentare la quota salari, che poi stabilizza fino al 1984, anno in cui Craxi decide la riduzione progressiva della scala mobile.

3) L'abbandono della scala mobile ed il calo dell'inflazione dovuto probabilmente alla separazione tra Tesoro e Banca d'Italia causano dal 1982 in poi l'inizio del calo della quota salari sul PIL.
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