Da
una quarantina d'anni, il dibattito marxista sulle origini del
capitalismo sembra oscillare fra due posizioni antagoniste. Da una
parte, le elaborazioni delle teorie del sistema-mondo (Wallerstein,
Arrighi, Gunder Frank), dall'altra, quelle del marxismo politico
(Brenner, Meiksins Wood, Teschke). A fronte di questa eccessiva
polarizzazione del dibattito sull'emergere del capitalismo, Benjamin
Bürbaumer mette in evidenza il contributo della teoria dello
sviluppo ineguale e combinato (SIC). Lungi dall'essere solamente
un'alternativa teorica alle due prime correnti, l'approccio svolto
dal SIC apre un vasto cantiere teorico e politico, che mette in gioco
la pluralità delle assi di oppressione (genere, razza, imperialismo,
ecologia) nella genesi della modernità. Rifuggendo da ogni
eurocentrismo e da ogni terzomondismo, lo sviluppo ineguale si rivela
un concetto centrale per pensare la dialettica spaziale attraverso la
storia, e per riorientare la riflessione strategica anticapitalista.
Il dibattito in seno al marxismo sulle origini del capitalismo rimanda in larga misura ad una valutazione dell'evoluzione del pensiero di Marx. Tuttavia, questo dibattito è ugualmente determinato dal contesto concreto in cui ha luogo. Ne L'Ideologia Tedesca e nel Manifesto del Partito Comunista, il giovane Marx ha presupposto le origini del capitalismo più che spiegarle [*1]. Il progresso tecnologico vi gioca un ruolo centrale in quanto «il regime feudale della proprietà» viene presentato come carico di «catene» che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, e dichiara che andrà in pezzi per questa ragione [*2]. Al contrario, autori come Claudio Katz [*3] ed Ellen Meiksins Wood sottolineano come il Marx tardivo dei Grundrisse e del Capitale ponga l'accento sulle classi e sulle loro lotte, cose che è particolarmente ben illustrata dalla sezione sull'accumulazione nel I volume del Capitale. Questo testo mostra che la questione della proprietà dei mezzi di produzione si trova al cuore del capitalismo. Ciò non si riduce ad una semplice espansione quantitativa del commercio in quanto «al fondo del sistema capitalista, c'è la separazione radicale del produttore dai mezzi di produzione» [*4]. E Marx aggiunge che l'accumulazione primitiva «non si è ancora compiuta in maniera radicale, se non in Inghilterra» [*5]. Tuttavia, accanto a questi argomenti «domestici», Marx insiste sui fattori internazionali nella determinazione della genesi del capitalismo in quanto «la schiavitù velata degli operai salariati in Europa, aveva bisogno del piedistallo della schiavitù senza aggettivi nel nuovo mondo» [*6]. Più tardi, Marx sottolinea come sia innegabile che le scoperte geografiche del 16° e del 17° secolo ed il loro impatto sul capitale commerciale siano state «il fattore principale del passaggio dalla produzione feudale alla produzione capitalista» [*7] Nella stessa prospettiva, ritiene che «la storia moderna del capitale risale alla creazione del commercio e del mercato dei due mondi nel 16° secolo» [*8],cosa che permette ad Immanuel Wallerstein, rappresentante dell'analisi del sistema mondo, di insistere sul ruolo determinante del commercio nella nascita del capitalismo [*9].
Intendiamo qui dare conto del dibattito intorno alle origini del capitalismo, riferendo delle due grandi ipotesi, quella della «logica della circolazione» cara a Wallerstein e quella della «logica della produzione».
La
logica della produzione caratterizza il capitalismo non come
un'estensione quantitativa di scambi economici ma come un regime di
proprietà qualitativamente differente. Sostenuta dai partigiani del
marxismo politico [*10],
si è imposta nel dibattito a partire dagli anni 1970. Tuttavia,
questa ipotesi sembra trascurare la dimensione internazionale dello
sviluppo del capitalismo. In effetti, l'analisi dell'accumulazione
primitiva elaborata da Marx non si limita agli avvenimenti interni
all'Europa ed all'Inghilterra:Il dibattito in seno al marxismo sulle origini del capitalismo rimanda in larga misura ad una valutazione dell'evoluzione del pensiero di Marx. Tuttavia, questo dibattito è ugualmente determinato dal contesto concreto in cui ha luogo. Ne L'Ideologia Tedesca e nel Manifesto del Partito Comunista, il giovane Marx ha presupposto le origini del capitalismo più che spiegarle [*1]. Il progresso tecnologico vi gioca un ruolo centrale in quanto «il regime feudale della proprietà» viene presentato come carico di «catene» che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, e dichiara che andrà in pezzi per questa ragione [*2]. Al contrario, autori come Claudio Katz [*3] ed Ellen Meiksins Wood sottolineano come il Marx tardivo dei Grundrisse e del Capitale ponga l'accento sulle classi e sulle loro lotte, cose che è particolarmente ben illustrata dalla sezione sull'accumulazione nel I volume del Capitale. Questo testo mostra che la questione della proprietà dei mezzi di produzione si trova al cuore del capitalismo. Ciò non si riduce ad una semplice espansione quantitativa del commercio in quanto «al fondo del sistema capitalista, c'è la separazione radicale del produttore dai mezzi di produzione» [*4]. E Marx aggiunge che l'accumulazione primitiva «non si è ancora compiuta in maniera radicale, se non in Inghilterra» [*5]. Tuttavia, accanto a questi argomenti «domestici», Marx insiste sui fattori internazionali nella determinazione della genesi del capitalismo in quanto «la schiavitù velata degli operai salariati in Europa, aveva bisogno del piedistallo della schiavitù senza aggettivi nel nuovo mondo» [*6]. Più tardi, Marx sottolinea come sia innegabile che le scoperte geografiche del 16° e del 17° secolo ed il loro impatto sul capitale commerciale siano state «il fattore principale del passaggio dalla produzione feudale alla produzione capitalista» [*7] Nella stessa prospettiva, ritiene che «la storia moderna del capitale risale alla creazione del commercio e del mercato dei due mondi nel 16° secolo» [*8],cosa che permette ad Immanuel Wallerstein, rappresentante dell'analisi del sistema mondo, di insistere sul ruolo determinante del commercio nella nascita del capitalismo [*9].
Intendiamo qui dare conto del dibattito intorno alle origini del capitalismo, riferendo delle due grandi ipotesi, quella della «logica della circolazione» cara a Wallerstein e quella della «logica della produzione».
«La scoperta dei giacimenti auriferi e argentiferi americani, la riduzione in schiavitù degli indigeni, il loro imprigionamento nelle miniere o il loro sterminio, l’avvio della conquista del saccheggio nelle Indie orientali, la trasformazione dell’Africa in una sorta di garenna commerciale per la caccia alle pelli nere, ecco gli idilliaci procedimenti di accumulazione primitiva che contraddistinguono l’era capitalistica ai suoi albori» [*11].Anche se Marx descrive un processo inter-sociale in cui il lavoro di società differenti è stato subordinato ai bisogni del capitale, tuttavia offre solo pochi elementi per comprendere i meccanismi dell'accumulazione primitiva sul piano internazionale [*12]. Studiando soprattutto la società capitalista, anche nella sua risposta a Mikhalovski del 1877 Marx nega di aver trovato «una teoria filosofico-storica integrale» e chiama i marxisti a studiare da vicino lo sviluppo storico di ciascuna società [*13]. A fronte delle analisi spazialmente e temporalmente limitate del marxismo politico, la corrente della teoria dello sviluppo ineguale e combinato (SIC) ambisce a mettere in evidenza il ruolo decisivo delle società non-occidentali nell'emergere del capitalismo al fine di scrivere una teoria internazionale del cambiamento sociale. Questo articolo si propone quindi di tracciare nei limiti il dibattito dei marxisti - per la più parte anglofoni - sulla transizione dal feudalesimo al capitalismo al fine di mostrare in che misura il capitalismo non si riassuma affatto nel rapporto capitale-lavoro in senso stretto ma metta in movimento dei processi di differenziazione di cui in una strategia anti-capitalista dev'essere tenuto conto.
Logica della circolazione contro logica della produzione: l'irresistibile Robert BrennerCon il suo articolo «Strutture agrarie di classe e Sviluppo economico nell'Europa pre-industriale», lo storico marxista Robert Brenner apre nel 1976 quello che più tardi verrà chiamato il «Dibattito Brenner». Brenner critica le interpretazioni delle origini del capitalismo che insistono su fattori cosiddetti "oggettivi" quali il ruolo del commercio o lo sviluppo delle forze produttive, e rivalorizza la dimensione "soggettiva" incarnata dai rapporti di classe. In contrasto con le analisi basate sui fattori "oggettivi", Brenner rifiuta di presupporre una logica capitalista all'interno del feudalesimo. Egli spiega che al contrario il capitalismo è il risultato involontario della lotta di classe - in particolare intorno alla proprietà della terra - fra signori e contadini in Inghilterra. Quest'enfasi sulla dimensione "soggettiva" spinge lo storico marxista Guy Bois a criticare il "volontarismo" del "marxismo politico" di Brenner, rimproverandogli in particolare di trascurare i fattori economici [*14].
Dietro quest'opposizione fra fattori "oggettivi" e "soggettivi" si cela un dibattito più profondo fra il marxismo politico e le analisi del sistema-mondo [*15]. Secondo Immanuel Wallerstein, il capitalismo si caratterizza per «la produzione ai fini della vendita sul mercato, su cui l'obiettivo è quello di realizzare un massimo di profitto. In un simile sistema, la produzione viene costantemente allargata fino a quando una produzione è redditizia e gli uomini innovano costantemente i nuovi modi di produrre delle cose al fine di estendere i margini del profitto» [*16]. Questo sistema basato sulla produzione per il mercato in continua espansione si pensa che emerga automaticamente in seguito al collasso degli imperi-mondi. Presupponendo che il capitalismo si sviluppi attraverso l'espansione del mercato, Wallerstein non affronta la questione dei rapporti sociali di proprietà. Ora, secondo la critica di Robert Brenner, sono proprio questi rapporti che portano «all'accumulazione di capitale attraverso l'innovazione» [*17].
Chiaramente, Brenner condivide con Wallerstein l'analisi che fa del capitalismo un sistema che si basa sull'accumulazione illimitata del capitale. Se critica l'analisi del sistema-mondo, è perché essa è incapace di fornire una spiegazione delle condizioni necessarie all'emergere di questo sistema. Un tale compito presuppone lo studio dei rapporti sociali di proprietà all'interno dei quali i produttori diretti sono separati dai loro mezzi di sussistenza, e di conseguenza costretti a vendere la loro forza lavoro - trasformata in merce e scambiata sul mercato - ai proprietari dei mezzi di produzione. Per dirla schematicamente, la differenza fondamentale di analisi fra la tesi del sistema-mondo ed il marxismo politico risiede nel fatto che il primo si basa su una logica della circolazione mentre il secondo enfatizza la logica della produzione.
Ne derivano tre importanti divergenze per quel che riguarda la storia del capitalismo. In primo luogo, secondo Wallerstein, il capitalismo è nato nel corso del "lungo 16° secolo" quando ha avuto inizio il commercio intercontinentale fra l'Europa ed il resto del mondo come risposta alla crisi del feudalesimo [*18]. Tuttavia, nella misura in cui Wallerstein non chiarisce la natura e gli antagonismi del feudalesimo il postulato dell'espansione commerciale sembra cadere dal cielo [*19]. Per estensione, determinare il capitalismo attraverso l'espansione quantitativa degli scambi di mercato può portare ad identificare le origini del capitalismo nelle città italiane del 15° secolo [*20], vale a dire a speculare sul fatto che il capitalismo esisterebbe da cinquemila anni [*21]. La seconda differenza deriva da questa visione più o meno trans-storica del capitalismo e riguarda lo Stato moderno la cui analisi pone un problema ai pensatori del sistema-mondo. Infatti, la teoria di Wallerstein non concepisce uno Stato specificamente moderno. Propone solo un'analisi delle comunità politiche che hanno poteri differenziati in seno al sistema-mondo. Wallerstein distingue solo tre tipi di Stato (centro, semi-periferia, periferia) in funzione del momento del loro incorporarsi nella divisione internazionale del lavoro. Nella sua analisi, i rapporti sociali di classe giocano tutt'al più un ruolo marginale, in conformità con il suo insistere sui fattori "oggettivi". Infine, l'analisi del sistema-mondo non riesce a spiegare perché, durante il 17° secolo, l'Inghilterra sorpassi gli altri paesi in termini di produttività e di crescita economica e demografica.
Il meccanismo di espropriazione quale viene descritto da Brenner equivale ad una rottura qualitativa fra i rapporti sociali di proprietà precapitalisti e quelli capitalisti. La creazione del lavoratore libero va di pari passo con una trasformazione del modo di estrarre il surplus. Anziché appropriarsi del surplus attraverso i mezzi extra-economici - come avveniva nel feudalesimo - i capitalisti si arricchiscono ed espropriano i lavoratori del frutto del loro lavoro per mezzo del mercato e dei suoi meccanismi economici. La produzione per il mercato porta alla concorrenza inter-capitalista e gli investimenti produttivi provocano una tendenza sistematica all'aumento della produttività del lavoro. Questo processo tende a generare sia crescita economica e demografica che sviluppo tecnologico.
Questa concezione del capitalismo sfocia in una teoria dello Stato moderno, in quanto la transizione verso il regime di proprietà capitalista corrisponde alla trasformazione di un regime di coercizione extra-economico in un regime di coercizione economico. In altre parole, l'economia e la politica diventano due sfere separate (che mantengono certamente dei rapporti): lo Stato non interviene più direttamente nel processo di produzione, ormai organizzato attraverso il mercato, ed istituzionalizza il regime di proprietà privata che permette di assicurare l'accumulazione del capitale.
Brenner sottolinea che «la crescita di una divisione del lavoro basato sul commercio non può essere identificata con il capitalismo in quanto non può determinare da sé sola il processo di produzione per il profitto che porta all'accumulazione di capitale attraverso l'innovazione». E aggiunge che, nella misura in cui il commercio non può generare da solo le condizioni necessarie allo sviluppo del capitalismo, bisogna interrogarsi sul processo che ha portato alla mercificazione della forza lavoro [*22]. Tale processo è legato alle trasformazioni della lotta di classe, soprattutto nelle regioni rurali dell'Inghilterra. Contrariamente a quello che vuol far credere Wallerstein, l'Inghilterra non si è sviluppata grazie al commercio di cereali con l'Europa dell'Est, ma si è distinta dagli altri paesi del mondo per la sua capacità di aumentare la propria produttività agricola. A questo ha fatto seguito la separazione dei contadini dai loro mezzi di sussistenza, che si è accompagnata alla costruzione delle grandi aziende agricole consentite dalle recinzioni. Il fenomeno delle recinzioni designa la privatizzazione dei beni comunali - che precedentemente venivano utilizzati da tutta la comunità rurale per la sua sussistenza - a profitto esclusivo dei proprietari fondiari, e si è costituito intorno all'idea che reso di fatto recintati i terreni che erano di libero accesso [*23].
Quindi il capitalismo sarebbe nato in Inghilterra?Le analisi del marxismo politico sottolineano che sotto il modo di produzione feudale la nobiltà si appropria attraverso i mezzi extra-economici di una parte sempre crescente del surplus prodotto dai contadini in condizioni di servitù. Nell'Europa del 15° secolo, dopo che i nobili hanno aumentato lo sfruttamento della forza lavoro, causando così un declino della produttività agricola, scoppiano rivolte contadine. In Inghilterra, la liberazione dei servi dà inizio all'affitto e alla dipendenza dal mercato per i contadini, in quanto il lavoro salariato si impone come nuovo modo di assicurare la loro sussistenza. Questo processo porta al capitalismo agricolo, strutturato per mezzo del rapporto fra il proprietario-capitalista e l'agricoltore-lavoratore-salariato. Di contro, lo Stato francese centralizzato della monarchia assolutista si mantiene grazie all'estrazione del surplus attraverso la riscossione delle imposte sulle terre. In contrasto con i tentativi di modifica dello status quo dei contadini portati avanti dalla nobiltà, lo Stato francese ha interesse a preservare la situazione data, mentre i contadini da parte loro desiderano conservare le loro terre.
Così, l'emergere sistematico del lavoro salariato e di conseguenza la transizione al capitalismo, si trova ad essere impedito dagli interessi comuni allo Stato francese ed ai contadini. Brenner ne conclude che i differenti risultati della lotta di classe in Inghilterra e in Francia spiegano l'evoluzione divergente dei due Stati. Tuttavia, riattivando la teoria dello sviluppo ineguale e combinato di Trotsky, Alexander Anievas e Kerem Nisancioglu, nel loro recente libro "How the West Came to Rule" criticano quest'analisi dell'inizio del capitalismo, soprattutto a causa della sua visione troppo ristretta dei rapporti sociali. Sul piano temporale, stimano che le origini del capitalismo non possono essere ridotte ad un momento concettuale, ossia alla creazione del lavoratore "libero". Spazialmente, mettono in discussione l'idea per cui la genesi del capitalismo si limiterebbe ad una campagna inglese che si sarebbe evoluta senza significative interazioni con altre società [*24]. In realtà, secondo i due autori, questa visione ristretta fornisce una spiegazione insufficiente dell'avvento del lavoro salariato in Inghilterra, così come delle condizioni che hanno permesso la generalizzazione del capitalismo agricolo in capitalismo industriale. Inoltre, ignora il processo che si verifica allo stesso tempo, vale a dire il colonialismo e la schiavitù. Il marxismo politico propone quindi un ideal-tipo di capitalismo che, come tutti i tipi ideali, si basa su una visione rigida della società. Parallelamente il SIC (Sviluppo ineguale e combinato) ristabilisce l'importanza dello sviluppo delle forze produttive delle quali il marxismo politico minimizza il ruolo, parlando di "determinismo tecnologico" delle analisi della commercializzazione [*25]. Ora, nella misura in cui le forze produttive non si riassumono nella tecnologia ma includono sia la forza lavoro che i mezzi di produzione, il SIC non promuove una una visione meccanica disconnessa della lotta di classe, ma allarga il campo di analisi per offrire un punto di vista più ampio del cambiamento sociale.
L'obiettivo della Teoria dello Sviluppo ineguale e combinato consiste quindi, in opposizione al marxismo politico, nel rendere l'analisi delle origini del capitalismo più dinamica ed a sottolineare la dialettica fra l'universale ed il particolare. Di conseguenza, supera la distinzione rigida fra le forme extra-economiche (non-capitaliste) e le forme economiche (capitaliste), di estrazione di surplus. Tuttavia, non si tratta di un ritorno alla logica della circolazione delle analisi del sistema-mondo, in quanto il SIC evidenzia l'esistenza di regimi di lavoro differenziati in seno alla logica della produzione. Questo porta al rifiuto delle concezioni lineari della storia che procede per tappe, e a richiamarsi alla dialettica fra lavoro libero e lavoro forzato, la quale caratterizza lo sviluppo e la riproduzione del capitalismo. Pertanto, quest'approccio permette di mostrare che, contrariamente alle affermazioni del marxismo politico che considera le guerre e le rivalità geopolitiche come se fossero vestigia feudali, il colonialismo e la schiavitù sono inerenti alle origini del capitalismo e giocano un ruolo nell'estensione e nell'intensificazione delle relazioni di mercato.
Parallelamente, rivisitare la storia della transizione verso il capitalismo permette di respingere delle conclusioni politiche operaiste presenti in una certa misura in seno al marxismo politico: Ellen Meiksins Wood ritiene perciò che le uguaglianze di genere e di razza non sono incompatibili con il capitalismo, mentre è lo sfruttamento ad esserne costitutivo [*26]. Per andare oltre un'analisi eurocentrica, o anglocentrica, e comprendere il processo di differenziazione in seno alla dinamica universalista del capitalismo, Anievas et Nisancioglu si ispirano ad un contributo di studi post-coloniali, vale a dire ai concetti di "Storia 1" e "Storia 2" sviluppati da Dipesh Chakrabarty [*27].
Mentre la Storia 1 designa le strutture e le pratiche che contribuiscono alla riproduzione del capitale, la Storia 2 designa le storie che il capitale incontra "non in quanto forme del suo processo vitale" [*28]. Si tratta di strutture e di pratiche che non supportano la riproduzione del capitale. Ora, queste due storie non si evolvono in maniera indipendente, ma al contrario si trovano in una relazione di interdipendenza: «Le Storie 2 non sono esterne al capitale o alla Storia 1. Piuttosto esistono in una relazione di vicinanza ed interrompono e punteggiano il corso della logica propria del capitale» [*29].
Concretamente, l'analisi internazionale delle origini del capitalismo comincia dal 13° secolo, quando l'Impero Mongolo stabilisce dei legami politici ed economici attraverso lo spazio eurasiatico. Così, da una parte l'Europa beneficia di un progresso scientifico proveniente dall'Asia, mentre dall'altra parte questa relazione porta in Europa la peste, che aggrava la crisi demografica ed amplifica in maniera qualitativa la crisi del feudalesimo. Per tutto il "lungo 16° secolo" (1450-1640), l'Impero asburgico e l'Impero Ottomano competono nella ricerca dell'egemonia, cosa che sposta il centro di gravità politico verso l'Europa dell'Est e verso lo spazio mediterraneo. Questo processo, nel corso del quale l'Impero Ottomano so dimostra militarmente dominante, mina la posizione degli Stati feudali più potenti, vale a dire il Papato, l'Impero austriaco e le città italiane. Parallelamente, questa dinamica incoraggia delle forze contro-egemoniche, fra le quali i movimenti protestanti in Inghilterra e nei Paesi Bassi. Di fondamentale importanza, gli Ottomani creano involontariamente le condizioni di un isolamento geopolitico - che si aggiunge al suo relativo isolamento geografico - dell'Inghilterra, lasciandole così lo spazio per unire la sua classe dominante (i nobili e lo Stato), e permettere l'attuazione delle recinzioni e la repressione delle rivolte contadine. L'Impero Ottomano è perciò legato all'emergere del capitalismo nella campagna inglese. D'altronde, è il dominio ottomano sul Mediterraneo, e gli itinerari terrestri verso l'Asia, ad aver portato a che gli Stati d'Europa del nordovest si rivolgessero verso l'Atlantico.
Ora, è proprio in America che gli europei hanno sperimentato per la prima volta il principio di divisione lineare al fine di attribuire un'autorità politica (la bolla papale Inter Caetera del 1493) sulla quale si basa la sovranità territoriale moderna. Sul piano ideologico, l'America ha anche permesso la sperimentazione su larga scala del razzismo scientifico, dell'eurocentrismo e del patriarcato moderno mentre, economicamente, del saccheggio dei metalli preziosi hanno beneficiato in maniera sproporzionata i ritardatari della colonizzazione, che allora erano l'Inghilterra e i Paesi Bassi. Cosa ancora più importante, Anievas et Nisancioglu sottolineano che la sfera di attività allargata offerta da "l'Atlantico" è stata determinante per lo sviluppo del capitalismo: la combinazione di terre americane, di lavoro degli schiavi africani e di capitale inglese ha permesso di superare i limiti del capitalismo agrario [*30]. In maniera simile, a fronte di un'offerta insufficiente di lavoro locale, i Paesi Bassi, attraverso la Compagnia delle Indie Orientali, avevano messo in piedi una rete commerciale con sede in Asia che riuniva diversi processi lavorativi. La combinazione di queste molteplici dinamiche ineguali fornisce una spiegazione olistica dell'emergere del capitalismo e del dominio occidentale che ne consegue. In tal senso, quest'analisi va oltre la rigida focalizzazione sul rapporto fra capitale e lavoro nel quadro del capitalismo agrario. Benché questo rapporto sia fondamentale, esso dipende storicamente da una molteplicità di rapporti sociali che includono delle forme di lavoro non-salariate come la schiavitù. In questo modo, il quadro teorico del SIC permette di integrare le opere recenti mettendo in luce il rapporto fra l'accumulazione primitiva e l'ecologia (Jason Moore) [*31] o l'oppressione delle donne (Silvia Federici) [*32]. Così, sia Moore che Federici sottolineano che l'avvento del capitalismo così come la sua riproduzione non si fondano unicamente sullo sfruttamento della forza lavoro ma anche sull'appropriazione di lavoro non-pagato, quello della natura extra-umana e quello delle donne. La prospettiva internazionale dell'avvento del capitalismo insiste necessariamente sulla violenza che è all'opera in questo processo. Violenza che è stata dispiegata sulle popolazioni del mondo intero - le quali d'altra parte hanno cercato di resistere - da parte delle classi dominanti occidentali e delle loro istituzioni statali. Tuttavia, Anievas et Nisancioglu non forniscono solo una rilettura internazionali delle origini del capitalismo ma propongono un quadro teorico di relazioni intersocietarie ed internazionali.
Pensare le origini del capitalismo: la teoria dello sviluppo ineguale e combinatoIl punto di partenza della teoria dello Sviluppo ineguale e combinato (SIC) risiede nella critica dell'eurocentrismo delle analisi delle origini del capitalismo elaborate dal marxismo politico (critica che vale anche per le analisi del sistema-mondo). La sfida è perciò quella di sviluppare un quadro teorico suscettibile di dar conto di tutta la complessità spaziale e temporale delle origini del capitalismo. Questo modo di pensare implica arricchire le analisi pertinenti delle particolarità locali dell'Inghilterra e dell'Europa, da parte del marxismo politico, con la dimensione internazionale necessaria alla comprensione della nascita del capitalismo in Europa.
Pertanto, si tratta di articolare la scala internazionale e la scala locale al fine di spiegare il modo in cui le società interagiscono nel corso di un processo storico. La dimensione ineguale del SIC segnala delle differenze in termini di sviluppo tra e in seno alle società. Le interazioni fra attori ineguali portano ad una nuova situazione dove a causa del "privilegio dell'arretratezza storica" una parte di una società o di uno Stato adotta le innovazioni sviluppate altrove senza tuttavia prendere la stessa strada storica della loro fonte di ispirazione. In altre parole, «i selvaggi rinunciano all'arco e alle frecce, per imbracciare immediatamente il fucile, senza percorrere la distanza che ha separato, in passato, queste differenti armi» [*33]. Tuttavia, queste interazioni non sono unidirezionali, non procedono necessariamente dall'entità politica più "avanzata" a quella più "arretrata" [*34]. Così, seguendo in questo Vivek Chibber [*35], Anievas et Nisancioglu criticano gli studi postcoloniali che presentano «una storia europea ermeticamente sigillata in cui la modernità è stata creata prima che si estendesse consecutivamente sul globo» [*36]. Le idee e le tecnologie possono circolare nei due sensi e l'esempio, fra tanti altri, dell'utilizzo della peste da parte dei Mongoli nel corso del 12° secolo dimostra che i tentativi deliberati di nuocere per mezzo della diffusione di una malattia possono portare a dei progressi in termini di sviluppo. La dimensione combinata riguarda i modi in cui i rapporti sociali interni di una società data vengono determinati dalle sue interazioni con delle società situate ad un differente livello di sviluppo, mescolando in tal modo "l'avanzamento" e "l'arretratezza". Queste interazioni fra delle esperienze sociali spazio-temporali diverse non hanno come conseguenza la semplice riproduzione del modello avanzato, ma portano a delle formazioni sociali nuove, combinate. Questa concezione dello sviluppo storico si trova agli antipodi rispetto ai modelli teleologici della storia e si inscrive in una certa continuità con l'opera di Marx sulle società non-occidentali [*37].
È tuttavia importante notare che, così come Marx non ha sviluppato una teoria generale dei modi di produzione bensì una teoria del modo di produzione capitalista, Trotsky ha limitato sul piano temporale le sue analisi del capitalismo. Con l'ambizione di fondare una teoria che vada al di là della spiegazione della storia del capitalismo, il SIC intende superare Trotsky. In tal modo, Anievas et Nisancioglu ritengono che il SIC può servire su tre piani: in quanto ontologia dello sviluppo umano che evidenzia delle condizioni con le quali tutte le società si devono confrontare; come metodologia che designa gli eventi storici significativi; infine, a livello della teorizzazione di un processo storico concreto [*38]. In questo modo, l'astrazione trans-storica permette di mettere in evidenza delle forme concrete, radicate storicamente. In altre parole, il SIC intende integrare la non-identità alla concezione materialista della storia attraverso lo studio di una molteplicità di vettori dello sviluppo ineguale e combinato. Naturalmente, questi fattori astratti devono essere riferiti ad una situazione storica concreta ma il SIC ha come obiettivo quello di andare al di là dell'analisi del modo di produzione per cogliere le interazioni dei diversi modi di produzione. In questa prospettiva, l'approccio del SIC vuole essere particolarmente illuminante riguardo a dei periodi di transizione e di cambiamento sociale radicale.
Sulla strada dell'emancipazioneAbbiamo brevemente presentato in maniera tematica le principali discussioni fra marxisti (anglofoni) sulla transizione - eufemismo che dà il nome ad un processo estremamente violento - dal feudalesimo al capitalismo. Partendo dagli scritti di Marx, la logica del mercato propone una prima dettagliata analisi, della quale il marxismo politico svolge una potente critica. Ma questa critica, a causa del suo eurocentrismo, viene in parte messa in discussione dai teorici della corrente del SIC: ad ogni tappa del dibattito, la teorizzazione marxista guadagna in precisione. Lontano dalle visioni teleologiche spesso attribuite al pensiero marxista, si delinea quindi una storia aperta e determinata dalla lotta di classe. Ora, questa lotta non si svolge solamente fra il capitale ed il lavoro, in Europa, ma riguarda ugualmente anche le lotte dei popoli colonizzati, in quanto le forme di lavoro non-pagato sono state necessarie all'avvento del capitalismo. Questa storia mostra che contrariamente alla visione del capitalismo, che ne fa un rapporto sociale che porta la pace e la libertà grazie al mercato, il capitale viene al mondo «sanguinoso e purulento da tutti i pori» [*39]. Parallelamente, diviene evidente che l'accumulazione primitiva non si riduce affatto alla creazione del lavoratore cosiddetto "libero" ma si traduce anche in un'accumulazione di differenze razziali nel campo dei dominati.
Di conseguenza, la teoria dello Sviluppo ineguale e combinato costituisce uno strumento potente per poter pensare il processo di differenziazione spazio-temporale in seno alla dinamica universalizzante del capitalismo. In tal senso, apporta una visione internazionalista e non-operaista del cambiamento sociale insieme ad una pratica che considera le lotte antimperialista, antirazziste e le mobilitazioni dei razzializzati come parte piena ed indispensabile della lotta per il superamento del capitalismo.
Note[*1] - WOOD, Ellen, Meiksins, The Origin of Capitalism, Londres : Verso, 2002, p. 35.
[*2] - https://www.marxists.org/francais/marx/works/1847/00/kmfe18470000a.htm#sect1
[*3] - KATZ, Claudio, https://libcom.org/files/feudalism%20to%20capitalism.pdf
[*4] - https://www.marxists.org/francais/marx/works/1867/Capital-I/kmcapI-26.htm
[*5] - https://www.marxists.org/francais/marx/works/1867/Capital-I/kmcapI-26.htm
[*6] - https://www.marxists.org/francais/marx/works/1867/Capital-I/kmcapI-31.htm
[*7] - https://www.marxists.org/francais/marx/works/1867/Capital-III/kmcap3_19.htm
[*8] - https://www.marxists.org/francais/marx/works/1867/Capital-I/kmcapI-4.htm
[*9]- WALLERSTEIN, Immanuel, The Modern World-System 1, University of California Press : Berkely, 2011, p. 77.
[*10] - Qui comprend des historiens comme Robert Brenner et Ellen Meiksins Wood mais aussi George Comninel, Benno Teschke, Charlie Post et d’autres.
[*11] - https://www.marxists.org/francais/marx/works/1867/Capital-I/kmcapI-31.htm
[*12] - ANIEVAS, Alexander, NISANCIOGLU, Kerem, How the West Came to Rule, Londres : Pluto, 2015, p. 148.
[*13] - https://www.marxists.org/history/etol/newspape/ni/vol01/no04/marx.htm
[*14] - BOIS, Guy, « Against the Neo-Malthusian Orthodoxy », Past & Present, N. 79, 1978, p. 9.
[*15] - Paul Sweezy, Andre Gunder Frank, Giovanni Arrighi, Immanuel Wallerstein, et d’autres auteurs que Brenner désigne comme « néo-smithiens » ou représentants du « modèle de la commercialisation ».
[*16] - WALLERSTEIN, Immanuel, « The Rise and Future Demise of the World System: Concepts for Comparative Analysis », Comparative Studies in Society and History, XVI, Janvier 1974, p. 398.
[*17] BRENNER, Robert, « La théorie du système-monde et la transition au capitalisme : perspectives historique et théorique », http://revueperiode.net/la-theorie-du-systeme-monde-et-la-transition-au-capitalisme-perspectives-historique-et-theorique/, consulté le 03/12/2015.
[*18] - WALLERSTEIN, Immanuel, The Modern World-System, vol. I: Capitalist Agriculture and the Origins of the European World-Economy in the Sixteenth Century, New York/Londres : Academic Press, 1974
[*19] - TESCHKE, Benno, The Myth of 1648, Londres : Verso, 2003, p. 137.
[*20] - ARRIGHI, Giovanni, The Long Twentieth Century, Londres : Verso, 1994.
[*21] - FRANK, Andre, Gunder, GILLS, Barry, The World System: Five Hundred Years or Five Thousand?, Londres : Routledge, 1993.
[*22] - BRENNER, op.cit., http://revueperiode.net/la-theorie-du-systeme-monde-et-la-transition-au-capitalisme-perspectives-historique-et-theorique/
[*23] - Ibid, http://revueperiode.net/la-theorie-du-systeme-monde-et-la-transition-au-capitalisme-perspectives-historique-et-theorique/
[*24] - ANIEVAS, Alexander, NISANCIOGLU, Kerem, op.cit., p. 24.
[*25] - WOOD, Ellen, Meiksins, op.cit., p. 12.
[*26] - WOOD, Ellen, Meiksins,« The Uses and Abuses of Civil Society », Socialist Register, Vol. 26, Londres : Merlin, 1990.
[*27] - Pour des raisons analytiques cette division de l’histoire en deux peut être utile, toutefois il nous semble que le concept d’histoire se suffit à lui seul pour penser l’articulation de tensions.
[*28] - MARX, Karl, Grundrisse , Harmondsworth : Penguin, 1973, pp. 105–106.
[*29] - ANIEVAS, Alexander, NISANCIOGLU, Kerem, op.cit., p. 37.
[*30] - Ibid, p. 275.
[*31] - MOORE, Jason, Capitalism in the Web of Life, Londres : Verso, 2015.
[*32] - FEDERICI, Silvia, Caliban et la Sorcière, Montreuil : Entremonde, 2014.
[*33] - TROTSKY, Léon, Histoire de la Révolution russe I, Paris : Seuil, 1995, p. 41.
[*34] - In Anievas et Nisancioglu, "avanzato" ed "arretrato" designano degli squilibri di potere e di riproduzione del potere in seno e fra le società. I due autori precisano che per analogia, nel modo di produzione capitalista, i capitalisti non sono né temporaneamente né normativamente più "avanzati" della classe operaia. Ovvero, sono più avanzati in termini di possesso di potere. p.56
[*35] - CHIBBER, Vivek, Postcolonial Theory and the Specter of Capital, Londres : Verso, 2013
[*36] - ANIEVAS, Alexander, NISANCIOGLU, Kerem, op.cit., p. 40
[*37] - ANDERSON, Kevin, Marx aux Antipodes, Paris : Syllepse, 2015.
[*38] - ANIEVAS, Alexander, NISANCIOGLU, Kerem, op.cit., p. 58[*39] - https://www.marxists.org/francais/marx/works/1867/Capital-I/kmcapI-31.htm
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