Friedrich Nietzsche ✆ Lautir |
Come precursori del Nazismo sono stati indicati, saggisti,
filosofi, romanzieri, poeti e musicisti come Wagner (e non solo per il suo
feroce antisemitismo). Tra i filosofi sia Hegel che Nietzsche sembrano
comunemente additati come precursori capaci di influenza culturale su ciò che
diventerà il complesso di dottrine filosofico-morali del nazismo.
La filosofia post illuminista
Kant viene presentato come apoteosi di un illuminismo e di
un pensiero critico volto a circoscrivere i confini delle possibilità del
sapere certo: da una parte la conoscenza fondata, dall’altra le pericolose
illusioni del dogmatico e contradditorio pensiero metafisico.
Dopo Kant la ragione illuministica sembra muoversi lungo due
vie opposte e divergenti. Da una parte, la RAGIONE, dopo essere stato
contrapposta alla fede come strumento di critica e demolizione del principio
divino, con Hegel, Marx (e con diverse modalità, con Comte) impregna la Realtà
e la Storia e diviene ragione costruttrice, dall’altra prosegue nella sua azione
demolitrice. Se da una parte la Ragionecostruisce la Storia fino al suo
compimento in uno Stato etico che di quella Storia diviene l’esito finale e
salvifico, dall’altra come Ragione demolitrice elabora un processo di
successiva erosione. La Ragione, che tutto mette in dubbio, tutto aggredisce e
demolisce, giunge, infine, a divorare non solo se stessa ma anche quel concetto
di Verità di cui mai il pensiero aveva pensato di poter fare a meno. Mach,
Poincarè, Dilthey, Nietzsche, Freud, Heidegger, Gadamer sono alcuni fra i
pensatori che indirizzano il pensiero verso una progressiva distruzione dei
concetti di razionalità e verità.
Persino in matematica, considerata come disciplina la più
coriacea, alterna, a tenaci tentativi di fondazione e rifondazione, altrettanto
tenaci sforzi di critica e demolizione.
Lo scoglio fu la teoria di Cantor sugli insiemi infiniti:
per alcuni, un paradiso, per altri, null’altro che un fantastico e labirintico
castello di carta.
La teoria di Cantor è oggi accettata da molti matematici ma
non mancano i critici che, come in passato fecero Kroneker, Poincaré, Herman
Weill, pongono il problema degli enti e dei ragionamenti ammissibili in
matematica e rifiutano l’idea dell’infinito attuale
Parallelo è il processo di secolarizzazione delle teorie
politiche e della politica che, se da una parte approda alle democrazie
liberali in cui la verità è oggetto di contesa, dall’altra porta alla
conversione del Dio monoteista divino nel Dio monoteista terreno. Un dio
terribile e totalitario che, come il suo decaduto fratello divino, riunendo in
sé l’etica, la verità e la politica, si presenta come l’approdo finale della
Storia, lungo le vie del nazionalismo, del nazismo, del comunismo. Ideologie
che, con le nuove entità ‘Partiti unici’, coi nuovi idoli ‘Razza’ o
‘Egualitarismo’, sono portatori, come il Dio monoteista del passato, di
architetture totali di etica e verità. Il nuovo Dio è quel popolo che unito
come un sol uomo, perviene finalmente a realizzare la Volontà Generale invocata
da Rousseau.
La ragione
demolitrice
La secolarizzazione del divino è stata, quindi, un processo evolutosi lungo due vie divergenti che potremmo chiamare della secolarizzazione demolitrice e della secolarizzazione edificatrice. Lungo una via di progressiva erosione dei concetti di verità, di razionalità, di fondamento e di logica. Tappe importanti furono la nascita delle geometrie non euclidee, la crisi dei fondamenti della matematica, le avanguardie artistiche, la nascita dello storicismo, del relativismo, del pragmatismo, di filosofie come quella di Nietzsche, Freud, Heidegger. La progressiva caduta di concetti connessi alle idee di verità, fondamento, monoteismo, anche se non direttamente inerenti a temi religiosi, causarono un indebolimento di analoghi concetti connessi all’idea del monolito monoteista.
La secolarizzazione del divino è stata, quindi, un processo evolutosi lungo due vie divergenti che potremmo chiamare della secolarizzazione demolitrice e della secolarizzazione edificatrice. Lungo una via di progressiva erosione dei concetti di verità, di razionalità, di fondamento e di logica. Tappe importanti furono la nascita delle geometrie non euclidee, la crisi dei fondamenti della matematica, le avanguardie artistiche, la nascita dello storicismo, del relativismo, del pragmatismo, di filosofie come quella di Nietzsche, Freud, Heidegger. La progressiva caduta di concetti connessi alle idee di verità, fondamento, monoteismo, anche se non direttamente inerenti a temi religiosi, causarono un indebolimento di analoghi concetti connessi all’idea del monolito monoteista.
Sminuendo il concetto di verità, si sminuì il valore della
tremenda verità del Dio, sconnettendo la verità dalla morale, si demolì la
monoliticità del Dio, demolendo i fondamenti e accettando progressivamente
l’idea di una vita che galleggiava, si demolì anche il fondamento di quel Dio a
cui si doveva, in ogni circostanza, fisica e culturale, far riferimento: un
cardine, eterno, universale; tanto solido, da costituire un completo sistema di
senso.
Tutto ciò portò alla pluralità delle voci, alla
moltiplicazione dei centri di verità e di morale che, allentando la connessione
tra vero, etico e divino, attenuano il sentimento di dovere verso il proprio
Dio, squalificano il dovere di apostolato ed emancipano la dignità dell’uomo,
non in quanto creatura di Dio, ma in quanto abitante in un mondo in cui risiede
il senso della sua vita.
Questa è la strada che conduce a quel sentimento laicità,
apparentato con quelli veicolati dalla secolarizzazione che permette di ricomprendere
nel concetto di laico quello di religioso, rivendicando per il religioso la
libertà di agire come laico nello spazio politico.
Nella storia della ragione ragione edificatrice troviamo
Hegel e in quella della regione demolitrice troviamo Nietzsche, il primo in
compagnia di Comte, di Marx, ma anche di filosofi della matematica e della
scienza come Russell, come i primi neopositivisti, come Cantor e Hilbert, il
secondo in compagnia di filosofi della scienza come Dilthey, Freud, Heidegger,
Mach, Poincaré. Pezzi da novanta da entrambe le parti.
Sembrerebbe che fra i due gruppi e in particolare fra
Nietzsche e Hegel la distanza sia abissale ed è quindi più che lecito chidersi
cosa li accomuni nella “precursione” del nazismo. Li accomuna poco ma certamente
il concetto della morte di dio, anche se le due interpretazioni del concetto
prendono decisamente vie divergenti.
Le vie della
secolarizzazione e la struttura del dio
La secolarizzazione viene usualmente intesa come un depotenziamento del
sacro, come una relativizzazione della verità, come una reazione al fanatismo e
alla terribilità del dio delle persecuzioni, dell’inquisizione, della caccia
alle streghe, delle sanguinose guerre religiose e, contemporaneamente come un
approdo a una cultura laica e tollerante ma questo non è il suo unico volto. La
morte di Dio non è solo il rifiuto di quel Dio trascendente che domina le
nostre coscienze, che ci incute paura, che ci spinge ad armarci per difendere
la fede ma, al contrario, è anche stata ed è tuttora, una sostituzione.
Molti uomini non possono vivere senza fede. Quella fede,
quella religione, quel Dio sono per costoro sistema d’orientamento,
interpretazione del mondo, fondamento e legge morale: un’ancora solida come una
roccia a cui aggrapparsi. La verità assoluta, la giustizia assoluta, l’ordine
delle leggi, la garanzia della stabilità del mondo, della morale, il senso
stesso del vivere.
Per costoro, per chi ha ereditato, vissuto, metabolizzato
quell’architettura di certezze, ritrovarsi senza Dio, senza fondamento, senza
certezza di verità, significa essere deportati in un mondo alieno, senza senso,
giustizia e verità. La loro vita galleggia sul nulla, perde certezza e senso:
senza di quel sistema non possono vivere e si ritrovano alla ricerca ansiosa
delle certezze perdute e del Dio perduto, pronti alla sua sostituzione.
E qual migliore sostituzione del vecchio e screditato Dio
trascendente con un Dio immanente che ripristini sulla terra quella verità,
quella architettura e quel senso? Metaforicamente il vecchio dio morto viene
rivitalizzato e trascinato in terra con tutta la sua architettura di solide
certezze, per assumere il nome di Dio Nazionalismo, dio Nazismo, dio Comunismo.
Il Naphta della Montagna incantata giunge a contrapporre
alla visione di un Settembrini, democratico, disincantato e laico, la visione
di uno statoarmonioso in cui Comunismo e religione cristiana si sono integrati
per costruire uno stato etico che realizzi, con la Volontà Generale, il regno
di Dio sulla terra. Pur essendo il personaggio di un romanzo, Naphta impersona
le aspettative dei tanti che hanno sentito nel passato e sentono nel presente
la necessità di anticipare sulla terra l’addivenire della giustizia divina con
le sue compensazioni di pene e di premi, con la giustizia, degli umili e
l’umiliazione dei superbi che il Libro garantisce solo nell’al di là.
La filosofia di Tieiard de Chardin è ancora più visionaria.
Partendo dall’incarnazione redentrice di Gesù, presente in ogni istante della
vita dell’uomo, interpreta il cammino della civiltà umana come un eterno
progresso di conoscenze e di moralità che avvicina l’uomo a Dio, il cui esito è
l’identificazione dell’umanità col suo Dio.
Il termine ‘secolarizzazione’copre, dunque, un vasto ambito
di senso. Da una parte si parla di ‘secolarizzazione’ come di un processo di
perdita d’importanza, di indebolimento, di marginalizzazione del divino,
dall’altra come di una vera e propria umanizzazione del divino, una
sostituzione del vecchio Dio con un nuovo Dio; metaforicamente un trasporto del
divino dal cielo alla terra, con ideali e ideologie terrene ma altrettanto
terribili. Da una parte un depotenziamento, dall’altra una mutazione del divino
senza alcun depotenziamento: il Dio viene portato dal cielo alla terra, pur
conservando la terribilità, la grandezza e il potere posseduti in cielo.
La doppia
legge
La storia narrata dal popolo ebraico nella Bibbia è un lungo
succedersi di eventi ma, soprattutto, la storia dei rapporti fra Dio e il suo
popolo; una storia di obbedienze e premi, di disobbedienze e castighi, una
storia da cui emerge una dottrina in cui, secondo il credente Kierkegaard, si
spalanca un abisso fra vita etica e vita religiosa. Come si può accettare come
morale il comportamento di dio con Abramo, si chiede Kierkegaard, quando Dio
gli ordina di sacrificargli il figlio Isacco? Come può Abramo accettare come
morale l’assassinio del figlio, un’azione che, oltretutto, infrange la Legge,
quella stessa legge che Dio ha prescritto al suo popolo? Ma Abramo è
completamente sottomesso al suo Dio. La parola del suo Dio è legge al di là di
ogni parola o legge vigente: anche se gli appare dolorosa, tragica, crudele,
anche se è in palese contrasto con la legge morale dettata da Dio. Per questo
si appresta ad obbedire e si ferma quando Dio glielo ordina, comprendendo così
che Dio ha voluto sottoporlo a una prova terribile e che quello stesso Dio approva
l’assoluta obbedienza da lui dimostrata.
Kierkegaard è chiarissimo: “Cosa c’è di morale in un simile
comando? Che senso ha una simile prova se non un’affermazione dell’abisso fra
fede e morale? Dio sta al di sopra di ogni moralità e di ogni legge, anche di
quella che Lui stesso ha prescritto e prescrive ai fedeli? La vera fede sta in
una obbedienza e sottomissione assoluta fino all’assurdo? Del resto il Dio
della Bibbia non è quello che compie miracoli, infrangendo le leggi del mondo
per castigare e premiare?
Due secoli
prima Cartesio aveva anticipato Kierkegaard
Nel suo testo Verità e Politica[1] la Arendt cita di Crozio a proposito
della distinzione fra verità di ragione e verità di fatto, la considerazione
che “Due più due fa quattro” è altrettanto vera per Dio e per gli uomini:
neppure Dio può metterla in discussione. Una affermazione che Cartesio rifiuta
in nome di una giusto rapporto di potere fra creatore, creato e creature
Accettare che una proposizione matematica sia valida per Dio
come lo è per noi, afferma Cartesio, significa accettare che esista un mondo di
verità preesistente all’infinita sapienza di Dio, su cui Dio non ha
giurisdizione e a cui Dio deve obbedire. Significa porre limiti alla sua sovranità
ed equivale ad asserire l’esistenza di un secondo Dio. Tutto ciò, per Cartesio
è inaccettabile. Assodato che il mondo e le sue leggi sono coerenti con le
leggi matematiche, è ovvio concludere che Dio creò il mondo in conformità a
quelle leggi ma è altrettanto ovviò che Dio, l’unico Dio, creò quelle leggi e
creò la matematica. Dio non ubbidì al Dio matematica ma creò quella matematica
che rimane nella completa disponibilità del suo potere, come rimane la
possibilità di creare un’altra matematica e un altro mondo con altre leggi,
come rimane nella sua disponibilità, la possibilità di creare le leggi morali e
di mutarle. La legge suprema per il creato e le sue creature è la sua volontà.
Questa complessa stratificazione costituisce la complessità
del Dio e prevede una legge disposta dal Dio, una giusta e imparziale
amministrazione di quella legge che ricomprende la giustizia, e un Dio al di
sopra e al di fuori della sua stessa legge. Una architettura che si replicarà
nel dio secolarizzato, che, al di sopra della legge e della sua
amministrazione, prevede un dio secolarizzato che dirama ordini al di fuori e
contro la legge e che costruisce strutture parallele per eseguire quegli
ordini.
I totalitarismi nazista e comunista occuparono solo
parzialmente lo stato e le sue istituzioni. Venne progettata e realizzata una
seconda architettura impersonata dal partito e dai suoi organi collaterali,
(come la polizia politica), che si occupavano della gestione della verità,
della scienza, della cultura, della dissidenza mediante processi, repressioni e
sterminio del Nemico, interpretato come personificazione del Male. Il dio
Totalitario come il Dio di Cartesio e di Kierkegaard, agì al di sopra della
legge, creandola e variandola a piacimento.
L’organizzazione statale, del resto, non poteva essere
toccata che marginalmente. La sua burocrazia era formata da impiegati e
dipendenti dallo stato, che traevano la loro etica dall’ubbidienza a procedure
stabilite dalla legge. Tanto l’ottuso impiegato, che l’alto burocrate erano una
macchina che procedeva con le sue leggi, i suoi codici, le sue disposizioni che
regolavano punto a punto le singole azioni. Una macchina le cui pratiche
procedevano in conformità a disposizioni, provenienti da leggi che giuste o
ingiuste, erano, almeno in teoria, le stesse nei vari uffici, rispettate quasi
sacralmente in misura tale chequalsiasi sistematica alterazioni o eccezioni
avrebbe portato allo sfascio l’organizzazione. Di qui la necessità di non
inceppare la macchina, di lasciare inalterata la sua strutturale e acefala
regolarità mentre il nuovo Dio procedeva a governare separatamente.
Il Dio partito era la verità, era la potenza, era la
giustizia, una giustizia, addirittura al di sopra delle leggi scientifiche. In
Russia, messo all’indice Freud, si decretò che ogni malattia psicologica era
generata dell’organizzazione di vita e di lavoro capitalista, si stabilì che
l’evoluzione era lamarkiana e non darviniana e, solo dopo lungo esame, vennero
accettate le teorie di Einstein in quanto compatibili col materialismo
dialettico. Ancor peggio nella Germania di Hitler.
Il paradosso di Kierkegaard divenne la normalità etica del
nazista e del buon comunista che, al di sopra di tutto obbedivano ai rispettivi
partiti, come testimoniano le sistematiche menzogne e delazioni, dove il vicino
denunciava il vicino, il figlio denunciava il padre e il padre il figlio.
Esigenza di
un’architettura
Nessuno nega il carattere ideologico-religioso di nazismo e
comunismo. Ciò che legava gli aderenti al gruppo, al partito, al capo non era
una partecipazione critica ma fideistica, dove il singolo diveniva assai più
simile ad un organo del gruppo che a un individuo. Gli aderenti insomma
condividevano (e era loro imposto di condividere) credi, opinioni, amicizie,
inimicizie.
A uno sguardo frettoloso sono entità come lo Spirito
Hegeliano a potersi assumere compiti edificatori per divenire, come Spirito
Assoluto e Razionalità, il nuovo Dio che edifica la Storia portandola al suo
compimento.
In Hegel, in Marx, in Comte si compie il destino della
ragione edificatrice secondo modalità già germinate nell’illuminismo di
Rousseau. Rousseau inventò e sostenne due concetti decisivi: quello della
Volontà Generale e quello della Civiltà come corruttrice della bontà primitiva
dell’uomo. La prima fu alla base delle idee nazionaliste, naziste, comuniste e
in genere di tutti i totalitarismi nel promuovere non la democrazia ma una società
armoniosa in cui le singole volontà si dovevano unificare in un’unica armoniosa
Volontà Generale. La seconda fu adottata in Cambogia dal partito di Pol Pot,
che, in conformità all’idea di un uomo corrotto dalla civiltà, dall’istruzione,
dalla cultura, sottopose i cittadini ‘liberati’ alla sua cura rigeneratrice con
la ferma determinazione di costruire non una nuova società comunista di tipo
sovietico, ma di ritrovare una verginità, le cui tracce, redentrici potevano
essersi conservate solo nell’incolta, povera e arretrata civiltà contadina.
Con ottusa, ideologica, criminale determinazione il partito
di Pol Pot suddivise i cittadini cambogiani secondo un duplice criterio: in
base all’età (i più giovani erano i meno corrotti) e in base alla cultura (gli
incolti, non alfabetizzati abitanti delle campagne costituivano l’èlite della
nuova società) Dopo una prima strage in cui la parte colta della popolazione fu
trucidata (spesso bastava portare gli occhiali) gli abitanti delle città furono
deportati in campagna a lavorare la terra. Ma Pol Pot non credeva in una
redenzione dei ‘corrotti’ e i ‘cittadini’ furono sottoposti a ritmi di
lavoro più pesanti, a razioni di cibo più povere, a continue punizioni. Come si
sa e come era facile prevedere, la situazione precipitò velocemente verso un
generalizzato massacro e presto a capo dei campi di lavoro furono insediati
giovani contadini, addirittura ragazzi, che esercitarono con ferocia il loro
furore ideologico con sistematici omicidi a bastonate.
Eppure noi non incolpiamo Rousseau di protoPolpottismo.
Hegel e la
stratificazione del Dio
Ho accennato a Hegel e al suo dio immanente in evoluzione
razionale verso l’Assoluto, come se a lui si potesse imputare quella
degenerazione della secolarizzazione ispiratrice dei totalitarismi. Ma ho
parlato di ‘sguardo frettoloso’. Tanto frettoloso da essere falsificante;
perché se è giusto, a proposito di Hegel, parlare di Stato Etico non va
certamente cercato in lui quel Dio, quell’apertura verso la mostruosità di cui
parla la Arendt quando afferma:
“Per molti di noi, ci sono voluti antri vent’anni per fare i conti con ciò che era accaduto… […] All’epoca, quell’orrore, nella sua nuda mostruosità – A me e a molti altri – sembrò andare al di là di ogni categoria morale, infrangendo ogni barriera giuridica. Era qualcosa che gli uomini non potevano punire, in maniera adeguata, né perdonare […] Le malvagità senza precedenti del totalitarismo hanno letteralmente polverizzato le categorie del nostro pensiero politico e i nostri criteri di giudizio morale. [2]
Il problema non è semplicemente la necessità di un Dio,
senza il quale ci si può sentire orfani, privi di guida, d’orientamento e di
quel senso importante che è il Senso della nostra vita nel mondo. Non è solo il
Dio che viene a mancare, ma tutta un’architettura che non è certo compensabile
dall’ottimistico, razionale, sistema di Hegel dove non esistel’Avversario, dove
non esiste il Diavolo, dove non esiste il Male.
Ciò che viene a mancare è un sistema che comprenda Dio, la
parola di dio, gli interpreti, i sacerdoti e soprattutto il Male, il Diavolo,
l’infido nemico con tutta le sue perfide e subdole arti. Un Male personificato
dal Nazismo nella razza ebraica da sterminare, e nel comunismo nel criminale
capitalismo imperialista. Vengono a mancare le stratificazioni del bene, del
male, la doppia morale (l’Abramo di Kierkegaard), la fede come ponte fra le
stratificazioni morali.
In Hegel
non c’è nulla di tutto ciò. Non c’è il Nemico da odiare e distruggere,
non c’è il nemico-inteso come Male e Demonio ma, al contrario, la sua filosofia
è compenetrata da un ottimismo razionale in virtù del quale nulla della realtà
sfugge alla razionalità e viceversa. La negatività esiste ma non è il Male: o è
l’antitesi che si oppone alla tesi, o la tesi che si oppone all’antitesi; tesi
e antitesi sono poi due momenti della dialettica dello Spirito fra le quali
avviene la conciliazione della sintesi: siamo lontanissimi dal Dio ideologico e
totalitario. Non è in Hegel che va cercato quel dio, quell’apertura verso la
‘mostruosità’ che fa dire alla Arendt che le malvagità senza precedenti del
totalitarismo avevano polverizzato le categorie del pensiero politico e i
criteri per i giudizi morali.
Nietzsche
Ben più che a Hegel il nazismo poté ispirarsi a Nietzsche.
Nella riduzione di ogni precetto morale a ideologia e nel concetto di
‘superuomo’ capace di emanciparsi da ogni ideologia (anche se Nietzsche non usa
questo termine), i nazisti potevano rivendicare il diritto-dovere di essere
“superuomini”, di quell’andare al di là di ogni categoria morale, infrangendo
ogni barriera giuridica di cui parla la Arendt.
Ma la filosofia di Nietzsche non ha nulla a che fare con le
architetture del Dio celeste secolarizzate in terra. La sua è una
filosofia soprattutto demolitrice e, al di là della morte del dio religioso, si
espande contro tutto quel sistema politico-morale normalizzatore e pacificatore
che si esprime secondo le linee di una salvifica e armoniosa coesione sociale
contro le fatiche della democrazia. In quel vasto e articolato smascheramento
dei grandi miti metafisici, morali e politici, delle soffocanti e barocche
costruzioni della società moralmente e civilmente egemone, mi sento solidale
con Nietzsche.
Ingiusto sarebbe addebitare a
Nietzsche un ruolo di ideologico di supporto a quelle che saranno le ideologie
fasciste e nazista ma altrettanto illogico negare che a quel pensiero, a quella
semantica, a quel superamento di ogni morale, gli ideologi nazisti poterono
facilmente appoggiarsi.
Note
[1] H. Arendt, Verità e Politica, Bollati
Boringhieri, Torino, 1995
[2] H. Arendt, Responsabilità e giudizio (a cura di J.Kohn), Torino, Einaudi, 2003, pp.19 e eg.
[2] H. Arendt, Responsabilità e giudizio (a cura di J.Kohn), Torino, Einaudi, 2003, pp.19 e eg.
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