Marc Bloch ✆ David Levine |
Con questo articolo si ripercorrere una tappa fondamentale della storia della storiografia moderna: la reazione contro il positivismo del tardo XIX sec. fino all’elaborazione di nuovi metodi e nuovi oggetti della ricerca storica novecentesca. Si propone un’analisi del dibattito storiografico francese novecentesco, dalla storia totale di Marc Bloch e Lucien Febvre alle riflessioni di Le Goff e altri storici sulla antropologia storica e sulla, tanto celebrata quanto criticata, dilatazione dell’ambito della ricerca storica. Si sostiene la necessità di riscoprire quegli strumenti intellettuali di analisi e di sintesi, ravvisabili certamente nell’opera di Bloch, coi quali elaborare non solo nuove sintesi della conoscenza storica, ma anche una interpretazione complessiva delle nostre società, che è condizione necessaria per il loro miglioramento.
Gli
ultimi decenni del XIX sec. furono caratterizzati da una vera e
propria “rivolta contro il positivismo”;1 come ha scritto lo
studioso italiano Angelo D’Orsi, dall’«avvento di una
nuova epistéme, ossia l’insieme delle concezioni e dei
modi di considerare e organizzare i processi della
conoscenza»,2 ponendo così le basi per il
salto qualitativo della storiografia novecentesca.
La nuova
storia si proponeva di accogliere i migliori risultati della
storiografia positivista e le innovazioni metodologiche e
interpretative apportate dalle altre scienze sociali. Influenzati dal
marxismo, gli storici statunitensi furono i primi a parlare di new
history3 e a dare nuova enfasi ai fattori socio-economici nella
spiegazione storica. Cominciarono a occuparsi di intellectual
history e respinsero le divisioni disciplinari per
concentrarsi sui legami che le diverse attività umane intrattengono
con la storia delle società. E così, nel corso del Novecento si
affermò in Europa e negli Stati Uniti l’attenzione verso la storia
della cultura in senso generale, delle idee e delle abitudini mentali
degli uomini in una data epoca e in un dato ambiente. Si trattò di
una trasformazione complessiva della scienza storica, dei suoi
oggetti e del suo metodo, che avrà esiti diversi nei diversi
ambienti intellettuali. A questo proposito D'Orsi ha osservato che:
Una
dilatazione dell’ambito disciplinare appare insomma l’asse su cui
si indirizza prevalentemente la storiografia della prima metà del
Novecento, a partire da suggestioni ottocentesche. Il cinquantennio
seguente non farà che sviluppare questa tendenza, portandola talora
all’estremo, sino, in qualche caso, a far perdere a taluna
disciplina storiografica il proprio baricentro.4
In
Francia i padri fondatori della nouvelle histoire furono, come è
noto, Marc Bloch (1886-1944) e Lucien Febvre (1878-1956), che
fondarono nel 1929 la celebre rivista Annales d’histoire
économique et sociale. Come dichiararono nell’editoriale del
primo numero del 15 gennaio, scopo della pubblicazione era difendere
innanzitutto l’unità sostanziale del sapere storico, promuovere la
collaborazione tra gli studiosi di diverse discipline e la formazione
di una cultura militante che incoraggiasse l’impegno civile degli
intellettuali.
Si
noti, infatti, che, in seguito all’esperienza tragica della Grande
guerra, gli intellettuali, a cui i due giovani storici si
rivolgevano, guardavano, in genere, con sempre maggiore disincanto
alla società contemporanea e alle sue drammatiche contraddizioni
apparentemente insanabili. Nel 1927 ebbe grande risonanza in Francia
l'opera di Julien Benda,5 Il tradimento dei chierici, in
cui si accusavano gli intellettuali di aver abdicato al loro ruolo di
guida della società, non interessandosi agli accadimenti
contemporanei, e, in alcuni casi, addirittura di aver appoggiato gli
odi razziali e l'intolleranza politica, che erano esplosi nella prima
guerra mondiale. Secondo quanto sostenuto dallo storico francese P.
Ariès,6 la storia delle mentalità nata con Febvre
e Bloch,
era
in realtà solo un aspetto, una faccia di una storia più estesa che
veniva chiamata storia sociale, o anche storia economica e sociale, e
che si presentava già come storia totale: soltanto che la totalità
era allora costruita nella e dall’economia. Era questa storia a
contrapporsi in blocco alla storia politica, evenemenziale.7
Il
progetto delle Annales mirava a inserire gli studi
particolari in una precisa prospettiva di storia globale.8 Come
scrive lo studioso italiano Francesco Pitocco,
Bloch
considerava la storia globale alla stregua di un limite matematico,
una grandezza a cui tendere pur sapendola irraggiungibile. E allo
stesso modo è doveroso riconoscerle il merito di aver messo a
disposizione dell’indagine storica un clima di apertura e di
libertà mentale di estrema efficacia. Così come è doveroso
riconoscerle la capacità di dar “senso” ai singoli campi di
ricerca, ai singoli oggetti storici altrimenti isolati e dispersi.9
Tali
posizioni teoriche erano alla base di importanti tentativi di sintesi
storica, come I re taumaturghi (1924), la
Società feudale (1938-39) di Marc Bloch e Un
destino. Martin Lutero (1928), Studi su Riforma e Rinascimento (I
ed. italiana 1966) di Febvre. L’unità della storia era data
dall’uomo e dal suo rapporto scambievole con il mondo, come ha
sottolineato Pitocco: «Gli uomini, costruiti dai mille legami
sociali che li tengono insieme, risultato di mille realtà sociali
che li alimentano. Gli uomini che nel loro essere sociali fondano la
loro unità, perché nella società tutto si tiene».10 Secondo
questa prospettiva, la storia economica, così come la storia della
mentalità, sono particolari punti di vista, particolari prospettive
della storia globale: I re taumaturghi, capolavoro di
storia della mentalità, e i Caratteri originali della storia
rurale francese, capolavoro di storia economica, sono entrambi
parti integranti della storia globale blochiana. La storia della
mentalità, la storia religiosa, la storia economica, la storia
politica non sono scomparti distinti della storia, non solo perché
sono tutte espressioni dalla creativa operosità degli uomini, ma
anche perché comunicano l’una con l’altra in uno scambievole, e
a volte contraddittorio, rapporto. E, in questo senso, la storia era
per i due studiosi francesi, in ultima istanza, psicologia. Le
condizioni sociali appaiono essenzialmente mentali, perché sono il
risultato del personale rapporto creativo che gli uomini, nelle loro
particolari condizioni di vita, instaurano con il mondo fisico,
economico e politico, da cui sono allo stesso tempo trasformati e
condizionati. Secondo Bloch, nella loro storia i gruppi umani vivono
in condizioni materiali più o meno simili, con le quali però
interagiscono in modi diversi. È dovere dello storico è
rintracciare proprio quell’intricarsi di condizioni, materiali e
spirituali, che hanno reso possibile quel particolare
rapporto degli uomini con quella società
e quell’ambiente. A questo proposito, è innegabile il
rapporto proficuo, che è intercorso negli anni, tra molti storici
delle Annales e il marxismo. Michel Focault notava:
Mentre
è evidente che le Annales, nonostante abbiano modificato di continuo
il loro metodo, i propri problemi e così via, pur tuttavia si
radicavano in una forma di storia profondamente legata al marxismo …
una storia dell’economia e della società.11
Seppur
con accenti diversi, sia Bloch che Febvre hanno sempre sottolineato
nei loro tentativi di analisi storica il rapporto dialettico
intercorrente tra fenomeni storici diversi, tra le condizioni
materiali e la cultura degli uomini. Come ha scritto Lucien Febvre,
L’ambiente
sociale prima di tutto compenetra l’autore di un’azione storica,
lo inquadra e in larga misura ne determina la creazione. E, quando
questa è compiuta, o muore, oppure, perché sussista, bisogna che
subisca la collaborazione attiva, la pericolosa collaborazione delle
masse, il peso dell’ambiente, irresistibile e determinante.12
Il
peso preponderante della dimensione sociale sui singoli fenomeni
storici è ben illustrato in numerosissimi scritti di Bloch, oltre
che dalle sue opere di sintesi, dedicati alle invenzioni tecniche del
Medioevo o ai fenomeni economici, come la coniazione di monete d’oro.
Nel saggio dedicato all’invenzione e alla diffusione del mulino ad
acqua nel Medioevo,13 per esempio, Marc Bloch ha messo in risalto
quelle esigenze sociali che ne spiegano l’uso e la diffusione:
anche se l’invenzione del mulino ad acqua risalirebbe al I sec. a.
C., esso fu largamente utilizzato nell’Europa latina soltanto nei
secoli medievali, ossia in società in cui, al contrario di quella
romana che ne vide solo un parziale utilizzo, mancava quella immensa
manodopera a bassissimo costo che erano stati gli schiavi.
Nel
dopoguerra le Annales diventeranno un punto di
riferimento per l’ambiente universitario e culturale sia francese
che internazionale. Nel 1956, in seguito alla morte di Febvre,
Ferdinand Braudel, autore de Il Mediterraneo e il mondo
mediterraneo all’epoca di Filippo II (1949), divenne il
direttore della rivista. In questi anni verranno introdotti nuovi
temi della ricerca storiografica, come la vita quotidiana, e nuovi
metodi, come quelli quantitativi, che saranno utilizzati nelle
ricerche per esempio di demografia storica. Sul finire degli anni ’60
Braudel fece entrare nella redazione del periodico alcuni storici più
giovani e promettenti, come Jacques Le Goff e Emmanuel Le RoyLadurie.
In questi anni la fisionomia intellettuale e redazionale della
rivista cambiò notevolmente, inaugurando un vero e proprio processo
di demolizione del paradigma originario elaborato dai padri fondatori
della nuova storia francese. L’interesse per i temi socioeconomici
diminuì fortemente, a vantaggio degli studi su tematiche particolari
della dimensione quotidiana, quali la morte, la sessualità, la
criminalità, l’infanzia, ecc. Con la sempre più maggiore
influenza dell’antropologia strutturalista di Lévi-Strauss, gli
storici delle Annales si dedicarono con nuovo
entusiasmo ai temi della storia intellettuale e delle mentalità,
della psicologia collettiva e dell’antropologia simbolica,
sottolineando quindi le componenti inconsapevoli e irrazionali del
senso comune.
In
questo modo si fece sempre più chiara la distanza tra le
prime Annales e gli storici della cosiddetta terza
generazione. Insieme a M. Vovelle, Le Goff individuava, infatti,
nella seconda metà del Novecento l’inizio della vera e propria
storia delle mentalità e indicava in Bloch, Febvre e Braudel, fino a
Michelet e Voltaire, soltanto la sua «lunga e solida tradizione».14
Addirittura, secondo Vovelle, gli anni precedenti alla sua
generazione «erano anni pressoché deserti, per i quali si potrebbe
parlare al più di preistoria della storia della mentalità: una
identità storiografica non organizzata, priva di un preciso progetto
storiografico, segnata da alcuni libri grandi ma isolati, come
la Grande paura di Georges Lefebvre, o l’Autunno
del Medioevo di Johan Huizinga».15
Un
giudizio simile ha espresso lo studioso Traian Stoianovich16 ,
secondo cui soltanto nel corso degli anni 1946-72 venne definendosi
appieno il paradigma storiografico della nouvelle
histoire francese. E, secondo François Dosse17 , la fase di
maggiore riconoscimento istituzionale della rivista e dei suoi
storici coincise con il graduale sbriciolamento culturale e degli
intenti spirituali che avevano dato vita al rinnovamento scientifico
della disciplina.
Numerose
sono state le critiche rivolte a questo nuovo sviluppo della nouvelle
histoire: molti hanno denunciato un processo di «autonomizzazione
dei fattori mentali».18 Secondo Pitocco, Le Goff favorì l’uscita
dalla «storia globale» delle prime Annales verso
«oggetti particolari».19 col proposito di promuovere la nuova
disciplina dell’antropologia storica, che sarebbe «una concezione
che, in nome dell’apertura interdisciplinare, di fatto scioglieva
la storia nella sociologia e soprattutto nell’antropologia,
attenuandone fortemente l’identità disciplinare»20 e dando scarso
peso al rapporto tra storia e economia o linguistica, discipline
tenute invece in gran conto sia da Bloch che da Febvre.
Negli
anni ’70-’80 Le Goff e A. Burguière sostenevano che
l’antropologia storica fosse il compimento naturale della storia
della mentalità di Bloch. L’antropologia storica, enfatizzando il
legame storia-sociologia-antropologia, si volgeva al contenuto
impersonale del pensiero, che accomunava i grandi uomini ai più
umili, tentando - scrive Pitocco - di «estrarre dalla storia le
strutture e i loro tempi più o meno immobili» e assegnando loro «il
compito di portare il senso della storia purificato e privato dal
groviglio umano che lo produce costantemente e costantemente lo
modifica».21 Tale disciplina rifiutava così una delle lezioni più
importanti di Bloch e Febvre:
la
storia non è storia delle società, ma storia dell’uomo che vive
in società mutevoli nel tempo. […] Ma soprattutto protagonisti
della storia sono gli uomini nella infinita pluralità e varietà
delle loro vite, pur vissute all’interno di strutture sociali,
strutture sociali esse stesse.22
Le
Goff ed i suoi colleghi francesi accettarono la lezione di Foucault,
che diede la prima definizione di storia seriale nel suo Archéologie
du savoir (1969): rinunciando a qualsiasi pretesa di
interpretazione sintetica del proprio oggetto di studio, ossia la
grande Storia, lo storico doveva volgersi ora alle storie con
la sminuscola e al plurale. Il suo compito era
ricostruire un evento unico, irripetibile, un piccolo frammento,
geograficamente e temporalmente determinato, senza cercare nella
storia degli uomini una supposta continuità e unità. Ecco qui la
cosiddetta storia in briciole di Pierre Nora.
Insomma, la terza generazione delle Annalesrifiutava
l’unità della società, concetto-chiave che caratterizzava,
invece, il rapporto di scambio tra storia e scienze sociali in Bloch
e Febvre, a vantaggio della discontinuità, della frammentarietà: si
studiavano così oggetti particolari secondo procedure scientifiche
specifiche. Secondo Pitocco,
rotta
l’unità e la globalità del sociale quello slancio ha messo capo,
di fatto, a una esplosione di ‘campi’, di ‘territori’ che ha
alimentato una tendenza alla dispersione, al descrittivismo storico.
[…] che non a torto i critici delle Annales tendono a considerare
come uno sminuzzamento della storia, produttore di una secca perdita
di senso.23
In
questo contesto si è andata affermando la dizione di storia delle
mentalità, a partire dal giudizio negativo espresso da Le Goff in un
celebre articolo,24 in cui definì mentalità un concetto ambiguo per
il suo riferirsi allo stesso tempo ai fattori razionali e irrazionali
propri del pensiero e della sensibilità comune di una data società.
Verso la fine del Novecento si è affermata, non solo in Francia, ma
anche nell’ambito della storiografia anglo-sassone, una «vera e
propria tendenza disciplinare, fondata su un rapporto privilegiato, e
persino esclusivo, con la psicologia e la psicanalisi».
Ricordiamo,
tra i critici della nuova storiografia francese, importanti storici
italiani del secondo Novecento, come Delio Cantimori che, influenzati
dallo storicismo e dediti alla storia delle idee e alla storia
politica, accolsero in gran parte con diffidenza la nouvelle
histoire, che appariva come un insieme confuso di temi, problemi
e metodi e priva di una rigorosa concezione della storia.
Significativo il giudizio di Arnaldo Momigliano25 , secondo cui
nemmeno l’indubbio influsso del marxismo sugli storici francesi
aveva instillato in loro lo spirito teorico. A proposito
della diffidenza della storiografia italiana, Pitocco scrive:
Assorbita
com’era nei problemi posti dal dibattito sullo storicismo, e quasi
soffocata dalla densità dei rapporti ‘teorici’ che esso
postulava tra storia, politica e filosofia, quella storiografia le
appariva ‘artigianale’, un po’ confusa e approssimativa, tutta
presa nella concretezza empirica di un lavoro da laboratorio e
lontana da ogni interesse per quell’astrazione che è propria della
teoresi filosofica e scientifica.26
Solo
nel corso del secondo Novecento, negli anni ‘70-‘80, la
storiografia italiana accolse dei metodi e dei temi della nouvelle
histoire, dandone una originale interpretazione, per esempio con le
riviste Quaderni storici e Storia e società.
Appare
chiaro che tali nuove tendenze storiografiche della cultura europea e
statunitense abbiano intrattenuto uno stretto rapporto con le
tendenze filosofiche del secondo Novecento, cosiddette postmoderne,27
e con la loro critica radicale alla razionalità sistematica,
rappresentata dalla cultura filosofica e scientifica moderna.28 Si
tratta, in generale, di correnti di pensiero, dal neopragmatismo
anglosassone all’esistenzialismo francese e allo storicismo
tedesco, che hanno elaborato, secondo il filosofo italiano Aldo
Giorgio Gargani, «una concezione indebolita di razionalità» e «una
concezione deflazionista della verità».29
Come
denunciato anche dai grandi nomi della letteratura europea e
statunitense, da Mann a Kafka, da Steinbeck a Orwell, nel mondo
contemporaneo l’uomo si sente sempre più solo davanti a un mondo
estraneo, fatto di ingranaggi e leggi che non conosce e non sa
dominare. Si è verificato in questo contesto non solo il diffondersi
di atteggiamenti di distacco del cittadino dallo stato e dall’impegno
civile; ma anche la polemica radicale contro le pretese
universalizzanti della scienza e della filosofia.
Nel
corso della metà del Novecento si radicalizzano posizioni già
sviluppatesi nei primi decenni del secolo, quando gli intellettuali
prendevano di mira il positivismo: la scienza è incapace di
penetrare la realtà degli uomini, fatta in ultima istanza dalle
coscienze individuali e dalle singole esperienze vissute. Riprendendo
le parole dello studioso A. Touraine,30 Paolo Favilli ha sottolineato
che nella seconda metà del XX sec. si è affermata «la definitiva
sfiducia della possibilità della ragione di dare senso ad
un’esperienza di vita individuale e collettiva, ad un’esperienza
di storia, fondata sulla “totale accettazione della caducità,
della frammentazione, della discontinuità e del caos”».31 A ciò
si aggiunge:
la
negazione della possibilità di arrivare, sia pure attraverso l’uso
di strumenti razionali molteplici, a dare senso allo svolgimento di
complessi processi di realtà. Qualsiasi ricerca di senso viene
derubricata al livello di ‘grande narrazione’. Viene negato, in
particolare, che macroprocessi storici (e l’ampiezza del macro
tende progressivamente a ridursi) abbiano al loro interno un
qualsiasi sistema di relazioni, anche se molto labile, e soprattutto
che tale sistema di relazioni possa avere capacità esplicative del
processo stesso.32
Ad
esempio di ciò potremo prendere lo storico e filosofo francese
Foucault, che abbiamo citato in precedenza, il quale è stato
influenzato dalla cosiddetta Nietzsche-renaissance, che caratterizzò
la Francia degli anni ’60 e dal cosiddetto post-strutturalismo. Non
solo egli non vedeva nella storia e nel progresso delle scienze un
processo di emancipazione umana, come invece avevano fatto sia
l’illuminismo sia il marxismo, né accordava legittimità alle
ricerche di un fondamento ultimo della nostra conoscenza.
È
interessante notare che alcuni studiosi hanno messo in relazione la
nascita del pensiero e dell’ideologia postmoderna con il drammatico
fallimento delle promesse emancipatrici e di pace del pensiero
politico liberale. La tragedia delle guerre mondiali e le sempre
crescenti contraddizioni del mondo capitalistico avrebbero
contribuito al disfacimento dei sistemi filosofici forti (come
l’hegelismo), che avevano tentato di fondare e difendere la
razionalità della storia.33 Secondo A. Ciattini, la nozione di
alterità e la conseguente enfasi sulle differenze, che sono
caratteristiche del pensiero postmoderno, sono nate «dalla crisi del
modello unitario della ragione […], la cui origine dovrebbe essere
rintracciata nelle trasformazioni della società capitalistica
realizzatesi a partire dagli ultimi decenni del Novecento».34 Molti
autori hanno inoltre denunciato la debolezza del
pensiero postmoderno, in quanto non produce una visione complessiva e
critica della società e delle sue drammatiche contraddizioni.35
Infatti gli intellettuali sono tutti presi dalla «perenne
decostruzione dei loro oggetti, i quali sono stati frantumati in una
miriade di tratti irrelati e sottoposti a procedimenti ermeneutici
mai conchiusi e sempre revocabili e invalidabili».36 Risulta,
perciò, impossibile proporre prospettive di trasformazione e
miglioramento delle nostre società. Come ha scritto Ciattini: nel
postmoderno si concretizzano
il
disegno del nuovo capitalismo di frammentare la società in individui
isolati […], la negazione che sia possibile elaborare una lettura
complessiva e totalizzante di quanto ci circonda, perché tale
pretesa annienterebbe la specificità e l’irriducibilità del
singolo o delle diverse culture che costellano il nostro universo
disomogeneo e salutarmente frammentato.37
In
conclusione, ciò che mi preme sottolineare in questo articolo è che
la concezione dialettica della storia di Marc Bloch
si legava all’idea della sua utilità civile e quindi del ruolo
militante dello studioso. Uomo di grande cultura e di grande passione
civile, Bloch era convinto che scopo ultimo della conoscenza del
passato è la comprensione delle condizioni storiche, sociali ed
economiche che hanno portato al nostro presente, rendendo così
possibile la sua trasformazione. Questo atteggiamento fortemente
critico e propositivo spinse Bloch verso la militanza politica, non
solo come intellettuale impegnato nella diffusione della cultura
storica; ma anche come uomo, che ha dato il suo contributo alla lotta
contro il nazismo, aderendo in ultimo alla Resistenza francese38 .
Come ha scritto Maurice Aymard, la riflessione storiografica prende
nel caso di Bloch «una dimensione del tutto personale, e nello
stesso tempo emblematica, che fonda l'unità della sua opera e della
sua vita. La storia del passato non può essere scritta se non da chi
assume il ruolo di testimone, attivo e impegnato, del presente».39
L’attività
storiografica di Bloch si fondava sul tentativo di legare
strettamente il presente al passato e «di applicare
nell’interpretazione delle manifestazioni sociali dei nostri tempi
le facoltà di analisi che lo storico ha esercitato nella critica dei
documenti dei tempi lontani»40 . Studiare criticamente i fenomeni
storici, saper coglierne le differenze e le analogie, le continue
interrelazioni con l’ambiente materiale e le condizioni culturali
che caratterizzano una società significava per il grande storico
francese tentare di penetrare l’avvenire: «Esaminando come e
perché l’ieri è stato diverso dall’altro ieri, essa [la storia]
trova, in questo accostamento, il modo di prevedere in che senso il
domani, a sua volta, si opporrà all’ieri».41
In
armonia con le posizioni dello storico francese, lo studioso inglese
Edward H. Carr42 ha scritto: «la storia […] è un processo di
carattere sociale, a cui gli individui partecipano in quanto esseri
sociali; e l’immaginaria antitesi tra società e individuo non è
altro che un cartello sviante messo lì apposta per confonderci». E
aggiunge, sottolineando il rapporto che la storia intrattiene con la
cultura e le esigenze delle società presenti: «Il passato è
comprensibile per noi soltanto alla luce del presente, e possiamo
comprendere pienamente il presente unicamente alla luce del passato.
Far sì che l’uomo possa comprendere la società del passato e
accrescere il proprio dominio sulla società presente: questa la
duplice funzione della storia».43
Studiare
oggi, per esempio, le opere di Marc Bloch non significa soltanto
riscoprire le intenzioni originarie dell’innovazione metodologica
della storia e, più in generale delle scienze umane, che fu
elaborata nel corso del Novecento. Ma, soprattutto, significa dare
nuovo risalto ad una concezione dialettica della storia e
dell’attività umana, propria di Bloch e di tanti altri studiosi a
lui contemporanei, che sottolinei i rapporti reciproci e ambivalenti
tra la dimensione materiale e la dimensione ideologica e culturale,
che individui le condizioni concrete in cui determinate società e
mentalità si sono sviluppate, superando quei limiti temporali e
geografici tanto comodi nello studio, ma fuorvianti nell’analisi
della realtà. È questa concezione della storia che ci insegna a
vedere uno sviluppo continuo, seppur contraddittorio, nell’attività
umana e ci permette di comprendere le ragioni d’essere della
società attuale per migliorarla. Perché solo l’impegno civile può
dar significato all’attività conoscitiva dello studioso.
Note
1
H. S. Hughes, Coscienza e società. Storia delle idee in
Europa dal 1890 al 1930, Einaudi, Torino 1967, pp. 40 ss. (ed.
or. inglese 1958).
2
A. D’Orsi, Piccolo manuale di storiografia, Mondadori,
Milano 2002, p. 94.
3
Cfr. J. H. Robinson, The newhistory, Macmillan, New York
1912, cit. in A. D’Orsi, Piccolo manuale di storiografia, cit., p.
95.
4
A. D’Orsi, Cit., p. 103
5
Julien Benda (1867-1956), filosofo e scrittore francese, è l'autore
del celebre pamphlet La trahison des clercs (1927),
edito in Italia da Einaudi nel 1976, in cui denunciò il crescente
impoverimento culturale delle società occidentali e il servilismo
nei confronti del potere politico di tanti intellettuali, che
tradivano così il loro ruolo di custodi di valori universali come
quelli di giustizia e di ragione.
6
P. Ariès, Storia delle mentalità, in F. Pitocco (a cura
di), Storia delle mentalità, Bulzoni, Roma 1996, pp.
223-249 (ed. or. francese 1979).
7
P. Ariès, Cit., p. 228.
8
«L’armatura di istituzioni che regge una società si può
spiegare, in ultima istanza, solo con la conoscenza dell’intero
ambiente umano. La finzione di lavoro che, nell’essere di carne e
di sangue, ci costringe a ritagliare questi fantasmi: homo
oeconomicus, philosophicus, iuridicus, è certo necessaria; ma
sopportabile solo se ci si ricusa di esserne vittime», M. Bloch, La
società feudale, Einaudi, Torino 1959, p. 107, cit. in F.
Pitocco, Storia delle mentalità, cit., p. 47, nota 67.
9
F. Pitocco, Cit., p. 48.
10
F. Pitocco, Storia delle mentalità, cit., p. 55.
11
M. Focault, Lo stile della storia, in Il
discorso, la storia, la verità. Interventi 1969-1984, Einaudi,
Torino 2001, cit. in P. Favilli, Marxismo e storia: saggio
sulla innovazione storiografica in Italia (1945-1970), ed. Franco
Angeli, Milano, 2006, p. 170.
12
L. Febvre, Storia e psicologia, in F. Pitocco (a cura
di), Cit., p. 107 (I ed. italiana 1966).
13
M. Bloch, in Lavoro e Tecnica nel Medioevo, a cura di G.
Luzzato, Laterza, Roma-Bari 2004 ( I ed. italiana 1969).
14
F. Pitocco, Storia delle mentalità, cit., p. 33.
15
F. Pitocco, Cit., p. 35.
16
T. Stoianovich, La storia francese. Il paradigma delle
“Annales”, Torino, ISEDI, 1978.
17
F. Dosse, L’histoire en miettes, Parigi, Editions de la
Découverte, 1987.
18
A. D’Orsi, Cit., p. 108.
19
F. Pitocco, Cit., p. 50.
20
F. Pitocco, Cit., p. 73.
21
F. Pitocco, Cit., p. 99.
22
F. Pitocco, Cit., p. 99.
23
F. Pitocco, Cit., p. 45.
24
J. Le Goff, La mentalità: una storia ambigua, in F.
Pitocco, Cit. (ed. or. in Faire de l’histoire, Editions
Gallimard, Paris 1974).
25
A. Momigliano, Lo storicismo nel pensiero contemporaneo,
in Rivista storica italiana, 1961, n. 1, p. 115.
26
F. Pitocco, Cit., p. 20.
27
Il termine postmoderno è entrato nel dibattito filosofico in seguito
alla pubblicazione nel 1979 di La condizione postmoderna di
J. F. Lyotard.
28
A questo proposito vedi, per esempio, il volume collettaneo curato da
A. G. Gargani, Crisi della ragione. Nuovi modelli del
rapporto tra sapere e attività umane(1979).
29
A. G. Gargani, Crisi della ragione, voce
dell’Enciclopedia Treccani online.
30
A. Touraine, Critica della modernità, Milano, Il
saggiatore, 1997, p. 222.
31
P. Favilli, Cit., Franco Angeli, p. 22.
32
P. Favilli, Cit., Franco Angeli, p. 23.
33
Faccio riferimento, per esempio, a S. Garroni, Dialettica e
socialità, Roma, Bulzoni 2000.
34
A. Ciattini, Il radicamento del pensiero antropologico
post-moderno nella società contemporanea, p. 3, in via di
pubblicazione.
35
T. Egleton, Ideologia. Storia e critica di un’idea pericolosa,
2007.
36
A. Ciattini, Cit., p. 4.
37
A. Ciattini, Cit., p. 5.
38
Nel 1943 Bloch entrò a far parte del gruppo clandestino Franc-Tireur
e lavorò come redattore-capo a Les Cahiers politiques de la
France combattante. Divenne ben presto membro del direttivo
regionale della Resistenza francese e contribuì all’organizzazione
delle insurrezioni di dieci départements che
dipendevano da Lione. Fu arrestato dalla Gestapo l’8 marzo 1944 e
fucilato il 16 giugno successivo.
39
M. Aymard, Introduzione, in M. Bloch, La guerra e
le false notizie. Ricordi (1914-1915) e Riflessioni
(1921), Donzelli, Roma 1994, p. XVI-XVII.
40
G. Luzzato, Prefazione, in M. Bloch, Lavoro e
tecnica nel Medioevo, Cit.
41
M. Bloch, La strana disfatta, Einaudi, Torino 1995, p.
110 (ed. or. francese 1946).
42
E. H. Carr (1892-1982), storico e diplomatico inglese, celebre per la
suo opera monumentale Storia
dell’Unione
Sovietica (14
voll.). Di orientamento marxista, si oppose all’empirismo
storiografico.
43
E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Torino, Einaudi
2000, pp. 60-61 (ed. or. London 1961).