Enrico Galavotti | Spesso non ci si rende ben conto che, per
quanto riguarda l'essere umano, non è di alcuna importanza sapere quando si è
passati, sul piano del linguaggio, dai primi suoni, emessi in maniera simile
alle scimmie, alle frasi di senso compiuto. Nessuno di noi si ricorda quando,
da neonato, emetteva i primi vagiti. Non ci ricordiamo neppure quando
balbettavamo frasi inarticolate. Per gli esseri umani il linguaggio comincia a
diventare davvero significativo quando le parole vengono memorizzate per il
loro significato. In questa maniera infatti ci diventa possibile procedere alla
loro rielaborazione. Il
linguaggio non è che un uso
intelligente delle parole. È uno strumento in più. Non si diventa più
capaci di parlare quanto più ci si ricorda di tutta l'evoluzione del nostro
dire.
Più ancestrale del linguaggio è la sensibilità. Vi è umanità semplicemente là dove
esiste sensibilità. Un
cerebroleso resta comunque una persona "sensibile" e non ci
sogneremmo neanche lontanamente di eliminarlo, come facevano i nazisti coi loro
disabili. Il linguaggio può dare un significato
razionale alla nostra sensibilità, può cioè renderla consapevole di sé, ma non
ne aumenta la fisicità, la realtà corporea. La sensibilità può essere
aumentata, cioè approfondita ed estesa, soltanto da se stessa. Il linguaggio,
infatti, può anche essere usato per mistificare le cose.


























