“Tres pasiones, simples, pero abrumadoramente intensas, han gobernado mi vida: el ansia de amor, la búsqueda del conocimiento y una insoportable piedad por los sufrimientos de la humanidad. Estas tres pasiones, como grandes vendavales, me han llevado de acá para allá, por una ruta cambiante, sobre un profundo océano de angustia, hasta el borde mismo de la desesperación” — Bertrand Russell

19/10/13

Søren Kierkegaard, Paolo Sorrentino e il cinema scandinavo

Giancarlo Chiariglione |  Poche correnti di pensiero come l’Esistenzialismo sono state capaci di influenzare in modo così profondo e originale l’immaginario cinematografico. A riprova di questo produttivo rapporto, se molti critici continuano a citare la celebre prefazione del libro di Stanley Cavell The World Viewed: Reflections on the Ontology of Film (1979), in cui l’autore, ispirandosi a I giorni del cielo (Days of Heaven, 1978) e più in generale alla produzione di Terrence Malick, ha legato il pensiero di Martin Heidegger alla settima arte (la radiosità formale del film del regista statunitense è stata infatti avvicinata alla riflessione del filosofo tedesco sulla relazione tra Essere ed esseri, sul radioso mostrarsi delle cose in una luminosa apparenza), non si contano letteralmente gli studiosi che, da sempre, ricordano come Søren Kierkegaard (1813 – 1855) abbia fornito spunti di riflessione e tematiche al cinema scandinavo (e non solo). Nel filosofo, teologo e scrittore di Copenaghen noto per i suoi improbabili pseudonimi (ad esempio Victor Eremita, Johannes de Silentio, Vigilius Haufniensis, Nicolaus Notabene, Hilarius il Rilegatore), il