- Thomas Piketty non è solo il brillante economista che riscrive la storia della disuguaglianza degli ultimi secoli; ma un fantastico narratore, ora di estrema attualità
Foto: Thomas Piketty |
Sto scherzando, naturalmente. Ma non si può evitare di essere presi alla sprovvista nel vedere quale accoglienza da rockstar abbia ricevutoThomas Piketty, un economista francese, da quando il suo libro Il Capitale nel XXI secolo è stato pubblicato nella sua traduzione in inglese il mese scorso. Se il mondo dei giornali e riviste di centro-sinistra fosse una stanza, non si potrebbero far oscillare le braccia lì dentro senza urtare una recensione del libro di Piketty (quasi certamente positiva). Paul Krugman sulla New York
Review of Books e nella sua rubrica. Matthew Yglesias su Vox ("Puoi darmi il ragionamento di Piketty in quattro punti chiave?"). The Nation gli ha dedicato la copertina e quasi 10.000 parole. Martin Wolf - il Paul Krugman britannico (a meno che Krugman non sia il Martin Wolf americano) - ha appenadetto anche lui la sua sulle colonne del Financial Times.
Anche la destra non ha potuto scansarlo del tutto.
Il libro di Piketty si guadagna il suo grandioso titolo con
il confluire, tutta in una volta, di un'intera generazione: utilizza risme di
dati nuovi di zecca per raccontare la storia più convincente a disposizione sul
problema sociale e politico già ora al primo punto dell'ordine del giorno, cioè
la disuguaglianza economica.
«Questo sembra essere il posto giusto dove stare!», è quel
che l'economista in ascensore effettivamente ha detto ai due economisti in
ascensore.
Chase Robinson, presidente ad interim del Graduate
Center, analogamente ha detto nel suo discorso di apertura: «mi hanno detto che
è il biglietto più figo in città» La sala non era proprio al pieno, anche se è
stato dichiarato il tutto esaurito. A giudicare da Twitter, c'è stato un uso
estensivo del live-stream, tra cui una gara
di bevute interrotta presso gli uffici di The Nation.
Il sottotesto dell'evento avrebbe potuto essere quello di
una generazione - i tre interlocutori principali e, direi, la maggior parte del
pubblico era composta da Baby Boomers - messa di fronte ai propri errori da
parte di un uomo più giovane. Piketty ha solo 42 anni. «Alcuni di noi si sono
laureati in un periodo particolare di questa curva, quando le cose sembravano
andare benissimo», ha osservato l'economista della Columbia Joseph Stiglitz, «e
ciò ci ha dato una visione particolarmente distorta del mondo».
A loro la serata ha fornito una opportunità di riscatto, non
solo nella forma del riconoscimento della precedente «visione distorta del
mondo», ma anche per proporre i criteri per far sì che il mondo torni indietro
al modo in cui pensavano che fosse.
Per i più giovani spettatori, nel frattempo, la serata
risultava ancora più importante: se non otteniamo che il mondo torni
a quel modo, in tal caso, suggerisce il libro di Piketty, la disuguaglianza
dilagante - che è già diventata un fattore fondamentale nella vita americana -
potrà solo peggiorare.
Piketty, che appare persino più giovane dei suoi anni, e
indossa un abito grigio e una camicia bianca con colletto parzialmente aperto -
un look che forse richiama il suo connazionale Bernard-Henri Lévy - ha iniziato
con un breve riepilogo. (Piketty parlava inglese con moderato accento. Il libro
è stato tradotto da Arthur Goldhammer, che, vi rivelo, è mio cugino.) Ha fatto
clic su un paio di diapositive, in stile PowerPoint, tra cui una che conduceva
chiunque al suo sito
web . Ma era così preso dalla sua storia che alla fine si è reso conto
che non era riuscito a scegliere più di una dozzina di slides.
Vedere Piketty raccontare la sua storia fin qui familiare,
di persona, ha fatto capire quanto sia importante la narrativitàdella sua
narrazione, ossia la sua qualità narrativa. Piketty non sarebbe diventato
questo grosso argomento se, usando gli stessi dati e le medesime intuizioni,
non avesse modellato un grande filo conduttore, con il suo inizio, la sua
metà e il suo finale premonitore.
La storia è questa. In precedenza, grazie al lavoro
dell'economista di metà del secolo scorso Simon Kuznets, il consenso
diffuso riteneva che la disuguaglianza stesse tendendo a restringersi. Ma
utilizzando i dati fiscali di quasi 50 Paesi, e facendolo risalire nel tempo di
svariati decenni e, nel caso della Francia, indietro fino al XVIII secolo,
Piketty dimostra che Kuznets, che ha sviluppato la sua omonima Curva negli
anni cinquanta e sessanta, ha vissuto la sfortunata coincidenza di stare presso
l'unico punto nel tempo in cui la disuguaglianza poteva apparire in via di
riduzione: subito dopo che due guerre mondiali e una depressione avevano
demolito i patrimoni accumulati dai più ricchi del mondo.
In realtà, Piketty dimostra che quel periodo - i
circa trent'anni economicamente gloriosi che hanno seguito la Seconda Guerra
Mondiale, noti in Francia letteralmente come Les Trente
Glorieuses - era anomalo, mentre di fatto, in generale, la
disuguaglianza si allarga, perché, dopo le imposte, il tasso di remunerazione
del capitale (r)1 supera il tasso di crescita delle economie» (g) di più
volte.
Traduzione: i redditi da capitale tendono ad essere più
grandi e a crescere a tassi più veloci di quanto facciano i salari, il che
significa che chi è già ricco, poiché fa comunque la maggior parte dei propri
soldi attraverso investimenti ed eredità, diventa ancora più ricco. Se i graffitari dovessero mai
scoprire Piketty, allora l'equazione
r>g
apparirà su tutti i muri delle città.
Tutti i conti tornano, e sono comprensibili. Chiunque abbia
familiarità con l'ascesa dell'industria della finanza - o anche solo con la
magia degli interessi composti - capirà perché rsupererebbe g.
Chiunque può capire in che modo gli Stati Uniti, come Piketty ha riconosciuto,
potrebbero temporaneamente rompere lo stampino, trasformando in miliardari
delle emerite nullità non attraverso l'accumulazione di capitale, ma tramite
salari sbalorditivi per dei "supermanager" , sebbene questi supermanager
naturalmente continueranno, attraverso i loro eredi, quel che Piketty definisce
"capitalismo patrimoniale", e anche se, come ha notato Krugman, uno
sguardo al Forbes
400, con i suoi quattro Walton nella top ten, rivela che l'America non è
immune dalla ricchezza ereditaria. Chiunque può capire perché il capitale può
aver perso terreno in favore dei salari all'incirca nel periodo 1913-1950, e se
non ci riuscisse a capirlo, si potrebbe osservare il grafico di Piketty (come
quello poco più sotto, che deriva dal suo lavoro) e vedere così il gigantesco
cratere che rappresenta la distruzione di capitale che si è verificata durante
tale periodo:
Nell'imparare la storia, si può anche capire perché l'opera
di Piketty abbia preso piede presso un pubblico più ampio ancora. E si può
similmente capire perché gli economisti sarebbero così entusiasti in merito, al
di là dei suoi notevoli progressi nell'ambito della professione stessa (che, ci
hanno ricordato gli altri economisti, sono prodigiosi): ecco un modo, tanto
sofisticato quanto facile da capire, che sa raccontare il passato economico, è
in grado di spiegare la nostra crisi attuale e perfino di suggerire ciò che
potrebbe riservare il futuro. E che cosa ci riserva il futuro? Beh,
in parte perché siamo sperabilmente fuori da delle guerre mondiali, il divario tra r e g continuerà
a crescere, a un ritmo sempre più veloce. L'unica cosa che non sappiamo è
come possiamo evitare che ciò accada.
A cercare di rispondere a questa domanda finale e cruciale
c'erano Stiglitz e Krugman, ciascuno dei quali ha pronunciato un
breve intervento dopo che aveva parlato Piketty.
Stiglitz - vincitore del Nobel per l'Economia - ha insistito
sul fatto che la politica può correggere i saccheggi che il rapporto r>g presagisce:
«La disuguaglianza non è solo il risultato di forze economiche», ha affermato, «ma gli stessi processi politici sono influenzati dal livello e dalla natura della disuguaglianza». Ha inoltre aggiunto: «non è inevitabile che r sia maggiore di g. È l'effetto delle nostre politiche». Nel citare distintamente la sentenza Citizens United , ha osservato che una maggiore disuguaglianza consolida un maggiore potere in mano ai ricchi, che utilizzeranno tale maggiore potere per raddoppiare in peggio quelle politiche (tassi in ribasso sulle plusvalenze, tasse di successione più basse, ostacoli bassi per il finanziamento stesso delle campagne elettorali), che garantiscono una disuguaglianza ancora più grande, e così via, in un circolo vizioso.
Krugman, in un discorso che in gran parte ricalcava un post sul suo blog pubblicato il precedente mercoledì, ha
riconosciuto la forza del libro nel fornire prove empiriche a sostegno delle
denunce a lungo formulate dai liberals in merito alle disuguaglianze,
oltreché nel raccontare quella storia - «questa analisi non è solo importante,
è bella», ha scritto. Nel corso di tutti i loro interventi, Piketty sedeva
vicino al podio, raggiante di soddisfazione. Sembrava reduce da un orgasmo. Chi
potrebbe biasimarlo?
All'inizio della sua presentazione, Steven Durlauf dell'Università
del Wisconsin si è impegnato a recitare il ruolo del "guastafeste" e
a portare una "prospettiva da secchione". Non ci ha deluso. In
prevalenza ha tirato fuori dei cavilli, senza dubbio importanti nell'ambito
della professione, circa l'uso che Piketty fa dei dati. Sono esitante
nell'analizzare la sua presentazione, perché era francamente al di sopra della
mia portata, ma in ogni caso ritiene in generale che il libro sia valido,
importante, brillante, e tutto il resto. Dopo l'evento, ho chiesto a Piketty se
fosse preoccupato del fatto che i suoi metodi e le sue conclusioni fossero
abbastanza complesse da poter essere usate male da mani inesperte. Ha scosso la
testa e ha dichiarato: «Quando l'economia appare troppo complicata, di solito è
un brutto segno».
Ci sono stati abbastanza economisti eminenti e ben ferrati
di centro e di sinistra - davvero tutti costoro - ad aver dato al
libro il loro Sigillo di Approvazione della Brava Massaia per far sì che la
maggior parte dei non esperti rimanga soddisfatta. E purtroppo, un impegno in
profondità che scrutini da destra il libro di Piketty deve ancora emergere
[...].
Pertanto, come chiedeva quel rivoluzionario: che fare?
La soluzione di Piketty al problema r>g è una imposta
progressiva globale sulla ricchezza degli individui. Questa è di gran
lunga la parte del suo libro che ha ricevuto il maggior numero di critiche: non
per la sua saggezza, ma per la sua praticabilità. (Tassare i ricchi in un paese
è già abbastanza difficile.)
Piketty minimizza la questione; nel rilevare che le aliquote
marginali delle imposte per le fasce più alte raggiunsero i loro picchi storici
più elevati negli anni cinquanta, proprio quando la disuguaglianza era comunque
al suo punto più basso, ha sostenuto con un sorriso: «La storia della tassazione
è piena di sorprese».
È chiaro che occorra inserire alcuni cunei per bloccare i
raggi del ciclo ricchezza-potenza che Krugman ha definito «spirale
politico-economica di disuguaglianza, in cui una grande ricchezza porta a un
grande potere, che viene utilizzato per rinforzare la concentrazione della
ricchezza».
Senza citare Piketty, Mark Schmitt ha suggerito che la riforma del finanziamento elettorale
sia l'ingresso giusto all'interno del talvolta nebuloso dibattito sulla
disuguaglianza. Ciò sembra avere molto senso.
Krugman ha chiuso con una nota insolitamente ottimistica. Teddy
Roosevelt, ha osservato, pronunciò il suo famosodiscorso sul Progressivismo facendo appello a una
tassazione progressiva sul reddito e sulle successioni delle "grandi
fortune", già nel 1910, ben prima dei cataclismi che hanno
rallentato temporaneamente il fattore r. Perfino le radici del New Deal,
ha affermato Krugman, risalgono a decenni prima del 1933. In altre parole,
degli americani riflessivi erano in grado di riconoscere il problema delle
disuguaglianze e di proporre soluzioni per risolvere tutto da soli, senza
l'ausilio di abitudini sociali né tendenze impersonali. Una legge economica
come r>g ha il potenziale per essere in ogni bit l'ossimoro che il
termine "legge economica" suggerisce. Krugman è sembrato voler
sostenere che per tutte le strutture accattivanti e anche "belle" che
Piketty descrive, la politica, non l'economia, resti l'arte finale del
possibile.
Traduzione per Megachip a cura
di Pino Cabras.
Nota
1. Piketty definisce il "capitale," forse
in un senso troppo allargato , essenzialmente come ricchezza derivante
da altre cose che non siano salari.
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