Slavoj Žižek ✆ Lace |
Certo, si tratta di un fatto hegelianamente noto, ma non
conosciuto: ma non è di questo che intendo occuparmi, né di come la
trasmissione di Fazio svolga la funzione di rassicurazione ideologica per la
gente semicolta del ceto della sinistra politicamente corretta, antiborghese e
ultracapitalista, nemica di ogni possibile formazione ideologica in grado di
opporsi al capitale dominante.
E, tuttavia, occorre partire dal fatto che, nel rassicurante
e comodo salotto della trasmissione
di Fazio, vengono sempre e solo invitati ospiti organici a quella cultura. Perché, dunque, invitare il filosofo irregolare Slavoj Žižek, colui che mai ha rinnegato il nome di Marx e che, in tempi recenti, ha addirittura preteso di riabilitare Hegel, l’autore più dissonante in assoluto rispetto all’ordine della globalizzazione trionfante (si veda, a questo proposito, l’ultimo lavoro di Žižek, Meno di niente, Ponte Alle Grazie 2013)?
di Fazio, vengono sempre e solo invitati ospiti organici a quella cultura. Perché, dunque, invitare il filosofo irregolare Slavoj Žižek, colui che mai ha rinnegato il nome di Marx e che, in tempi recenti, ha addirittura preteso di riabilitare Hegel, l’autore più dissonante in assoluto rispetto all’ordine della globalizzazione trionfante (si veda, a questo proposito, l’ultimo lavoro di Žižek, Meno di niente, Ponte Alle Grazie 2013)?
Si tratta di un abbaglio dell’occhiuta censura dell’ideologia
dominante? O non sarà invece che il dissidente Žižek è più organico all’ordine
dominante di quanto non si possa a tutta prima immaginare?
Ritengo, personalmente, che questa seconda risposta sia
quella corretta. E proverò brevemente a spiegare perché, fermo restando che
Žižek – già solo perché pone al centro del suo discorso Hegel e Marx – resta un
gigante rispetto ai nostrani pagliacci in salsa postmoderna, ai pensatori
analitici senza senso storico, ai cani da guardia dell’ordine neoliberale e,
ancora, a quanti si sono penosamente convertiti, dopo il 1989, dalla dialettica
marxiana a nuove forme di pensiero compatibile con lo Spirito del tempo.
Prendendo spunto da un’acuta osservazione di Costanzo Preve,
voglio partire dalla definizione che del pensiero di Žižek è stata prospettata
dalla rivista americana di politica e arti “The New Republic”: “il pensatore
più pericoloso dell’Occidente”. Il paradosso è evidente: perché mai il mainstream culturale
gestito capillarmente dal capitale – e di cui “The New Republic” come “Che
tempo che fa” sono parte integrante – dovrebbero dedicare spazio, per di più in
termini encomiastici, a un pensatore dissidente e in lotta contro il loro
mondo?
In breve, la mia tesi è la seguente. Il successo mediatico
che continua ad arridere a pensatori che, come Žižek, apparentemente incarnano
con le loro riflessioni l’opposizione più radicale possibile al sistema della
produzione si spiega in ragione del fatto che, in verità, a un’analisi attenta
e non superficiale, tali pensatori, con la loro stessa critica, rappresentano
la glorificazione ideale del sistema dominante: una glorificazione ancora più
efficace – perché dissimulata – rispetto a quella delle sempre in voga
apologetiche dirette di chi santifica il reale presentandolo panglossianamente
come il migliore dei mondi possibili.
In fondo, il segreto del successo globale di Žižek sta tutto
qui. La sua funzione ideologica, in apparenza oppositiva, è in realtà
immancabilmente rassicurante. Žižek si assume il compito della critica per
disinnescarla, addomesticandola e finendo, così, per riproporre il collaudato
schema dell’intrasformabilità dell’esistente, nella forma di una
spettacolarizzazione (nel caso di Žižek, anche assai pacchiana e postmoderna)
della critica e del messaggio di Marx. In senso generale, nell’atto stesso con
cui agita senza tregua il nome di Marx e di Hegel, Žižek non fa altro che
disinnescarli, presentandoli in salsa postmoderna come inoffensivi e, de
facto, come organici alla produzione capitalistica. Per usare la grammatica di
Žižek contro Žižek stesso, Marx e Hegel vengono “decaffeinati”, cioè privati
della loro valenza oppositiva rispetto alle logiche dell’alienazione planetaria
(Marx) e del capitalistico regno animale dello Spirito (Hegel).
Nel suo esercizio di una critica già da sempre metabolizzata
dal cosmo mercatistico, Žižek, l’inarrestabile fustigatore della società
esistente, svolge sempre e solo la stessa funzione apologetica di tipo
indiretto. La sua critica addomesticata e perfettamente inseribile nei circuiti
della manipolazione organizzata occulta la propria natura apotropaica rispetto
a una critica non assimilabile nell’ordine dominante. Chiedetevi perché a “Che
tempo che fa” venga invitato Žižek e non sia mai stato ospitato Costanzo Preve e
avrete la risposta al dilemma.
I numerosi critici del presente lasciano apparire morbido, permissivo e aperto a ogni pratica contestativa il monoteismo del mercato: e, insieme, complici le prestazioni dell’industria culturale, saturano mediaticamente lo spazio della possibile contestazione, facilitando il silenziamento invisibile delle critiche autenticamente antiadattive, coerentemente sfocianti nel programma del rivoluzionamento dell’esistente.
Solo così si spiega il paradosso della gloria mediatica di pensatori
che il sistema stesso della produzione promuove urbi et orbi, definendoli,
con stile pubblicitario, “i più pericolosi dell’Occidente” e, per ciò stesso,
neutralizzando la pensabilità, se non altro per l’opinione pubblica, di
critiche effettivamente antisistemiche. In tal maniera, all’opinione pubblica e
alla cultura universitaria pervengono sempre e solo idee inoffensive e
organiche al sistema, ma contrabbandate come le più “pericolose” in assoluto,
creando l’illusione che esse coincidano con il massimo della critica possibile.
Prova ne è che oggi le sole idee veramente “pericolose”,
cioè incompatibili con lo Zeitgeist postborghese e ultracapitalista,
coincidono con il recupero integrale della sovranità nazionale (economica,
politica, culturale, militare) come passaggio necessario per la creazione
dell’universalismo dell’emancipazione (contro il criminale incubo eurocratico),
con la deglobalizzazione pratica e con il riorientamento geopolitico contro la
monarchia universale. Di tutto questo, naturalmente, nell’opera di Žižek non
v’è traccia. Muovendosi entro i confini del politically correct fissati
dal sistema, Žižek critica il presente con toni che, quanto più sembrano
radicali, tanto più rinsaldano il potere nel suo autocelebrarsi come
intrascendibile e democratico. Per quanto tempo ancora dovrà durare tutto
questo?
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