“Tres pasiones, simples, pero abrumadoramente intensas, han gobernado mi vida: el ansia de amor, la búsqueda del conocimiento y una insoportable piedad por los sufrimientos de la humanidad. Estas tres pasiones, como grandes vendavales, me han llevado de acá para allá, por una ruta cambiante, sobre un profundo océano de angustia, hasta el borde mismo de la desesperación” — Bertrand Russell

4/12/13

Slavoj Žižek pensatore pericoloso?

Slavoj Žižek ✆ Lace
Diego Fusaro  |  Domenica 1 dicembre, il filosofo Slavoj Žižek è stato ospite della trasmissione “Che tempo che fa” diretta da Fabio Fazio. Non è interessante, in questa sede, discutere della trasmissione in quanto tale, su cui peraltro già vi sarebbe molto da dire. La trasmissione di Fazio è, in estrema sintesi, l’equivalente televisivo del quotidiano “La Repubblica”, il luogo della riproduzione del politicamente corretto e dell’ideologia di legittimazione dell’esistente.

Certo, si tratta di un fatto hegelianamente noto, ma non conosciuto: ma non è di questo che intendo occuparmi, né di come la trasmissione di Fazio svolga la funzione di rassicurazione ideologica per la gente semicolta del ceto della sinistra politicamente corretta, antiborghese e ultracapitalista, nemica di ogni possibile formazione ideologica in grado di opporsi al capitale dominante.

E, tuttavia, occorre partire dal fatto che, nel rassicurante e comodo salotto della trasmissione
di Fazio, vengono sempre e solo invitati ospiti organici a quella cultura. Perché, dunque, invitare il filosofo irregolare Slavoj Žižek, colui che mai ha rinnegato il nome di Marx e che, in tempi recenti, ha addirittura preteso di riabilitare Hegel, l’autore più dissonante in assoluto rispetto all’ordine della globalizzazione trionfante (si veda, a questo proposito, l’ultimo lavoro di Žižek, Meno di niente, Ponte Alle Grazie 2013)?

Si tratta di un abbaglio dell’occhiuta censura dell’ideologia dominante? O non sarà invece che il dissidente Žižek è più organico all’ordine dominante di quanto non si possa a tutta prima immaginare?

Ritengo, personalmente, che questa seconda risposta sia quella corretta. E proverò brevemente a spiegare perché, fermo restando che Žižek – già solo perché pone al centro del suo discorso Hegel e Marx – resta un gigante rispetto ai nostrani pagliacci in salsa postmoderna, ai pensatori analitici senza senso storico, ai cani da guardia dell’ordine neoliberale e, ancora, a quanti si sono penosamente convertiti, dopo il 1989, dalla dialettica marxiana a nuove forme di pensiero compatibile con lo Spirito del tempo.

Prendendo spunto da un’acuta osservazione di Costanzo Preve, voglio partire dalla definizione che del pensiero di Žižek è stata prospettata dalla rivista americana di politica e arti “The New Republic”: “il pensatore più pericoloso dell’Occidente”. Il paradosso è evidente: perché mai il mainstream culturale gestito capillarmente dal capitale – e di cui “The New Republic” come “Che tempo che fa” sono parte integrante – dovrebbero dedicare spazio, per di più in termini encomiastici, a un pensatore dissidente e in lotta contro il loro mondo?

In breve, la mia tesi è la seguente. Il successo mediatico che continua ad arridere a pensatori che, come Žižek, apparentemente incarnano con le loro riflessioni l’opposizione più radicale possibile al sistema della produzione si spiega in ragione del fatto che, in verità, a un’analisi attenta e non superficiale, tali pensatori, con la loro stessa critica, rappresentano la glorificazione ideale del sistema dominante: una glorificazione ancora più efficace – perché dissimulata – rispetto a quella delle sempre in voga apologetiche dirette di chi santifica il reale presentandolo panglossianamente come il migliore dei mondi possibili.

In fondo, il segreto del successo globale di Žižek sta tutto qui. La sua funzione ideologica, in apparenza oppositiva, è in realtà immancabilmente rassicurante. Žižek si assume il compito della critica per disinnescarla, addomesticandola e finendo, così, per riproporre il collaudato schema dell’intrasformabilità dell’esistente, nella forma di una spettacolarizzazione (nel caso di Žižek, anche assai pacchiana e postmoderna) della critica e del messaggio di Marx. In senso generale, nell’atto stesso con cui agita senza tregua il nome di Marx e di Hegel, Žižek non fa altro che disinnescarli, presentandoli in salsa postmoderna come inoffensivi e, de facto, come organici alla produzione capitalistica. Per usare la grammatica di Žižek contro Žižek stesso, Marx e Hegel vengono “decaffeinati”, cioè privati della loro valenza oppositiva rispetto alle logiche dell’alienazione planetaria (Marx) e del capitalistico regno animale dello Spirito (Hegel).

Nel suo esercizio di una critica già da sempre metabolizzata dal cosmo mercatistico, Žižek, l’inarrestabile fustigatore della società esistente, svolge sempre e solo la stessa funzione apologetica di tipo indiretto. La sua critica addomesticata e perfettamente inseribile nei circuiti della manipolazione organizzata occulta la propria natura apotropaica rispetto a una critica non assimilabile nell’ordine dominante. Chiedetevi perché a “Che tempo che fa” venga invitato Žižek e non sia mai stato ospitato Costanzo Preve e avrete la risposta al dilemma.

I numerosi critici del presente lasciano apparire morbido, permissivo e aperto a ogni pratica contestativa il monoteismo del mercato: e, insieme, complici le prestazioni dell’industria culturale, saturano mediaticamente lo spazio della possibile contestazione, facilitando il silenziamento invisibile delle critiche autenticamente antiadattive, coerentemente sfocianti nel programma del rivoluzionamento dell’esistente.

Solo così si spiega il paradosso della gloria mediatica di pensatori che il sistema stesso della produzione promuove urbi et orbi, definendoli, con stile pubblicitario, “i più pericolosi dell’Occidente” e, per ciò stesso, neutralizzando la pensabilità, se non altro per l’opinione pubblica, di critiche effettivamente antisistemiche. In tal maniera, all’opinione pubblica e alla cultura universitaria pervengono sempre e solo idee inoffensive e organiche al sistema, ma contrabbandate come le più “pericolose” in assoluto, creando l’illusione che esse coincidano con il massimo della critica possibile.

Prova ne è che oggi le sole idee veramente “pericolose”, cioè incompatibili con lo Zeitgeist postborghese e ultracapitalista, coincidono con il recupero integrale della sovranità nazionale (economica, politica, culturale, militare) come passaggio necessario per la creazione dell’universalismo dell’emancipazione (contro il criminale incubo eurocratico), con la deglobalizzazione pratica e con il riorientamento geopolitico contro la monarchia universale. Di tutto questo, naturalmente, nell’opera di Žižek non v’è traccia. Muovendosi entro i confini del politically correct fissati dal sistema, Žižek critica il presente con toni che, quanto più sembrano radicali, tanto più rinsaldano il potere nel suo autocelebrarsi come intrascendibile e democratico. Per quanto tempo ancora dovrà durare tutto questo?
http://www.lospiffero.com/